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cattivi scienziati

Il Sudafrica alle prese con due nuove varianti di Omicron

Enrico Bucci

La risalita dei casi è accompagnata da un nuovo aumento di ospedalizzazioni, anche se finora occupazione delle terapie intensive e decessi rimangono a valori bassi. L’evoluzione del virus non si ferma per decreto

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La pandemia di Coronavirus, e l’evoluzione di SARS-CoV-2, sono ben lungi dall’essere terminate. Con buona pace di chi, ad ogni nuova variante, fantastica di “raggiunti limiti evolutivi” del virus, per sapere come le cose stanno realmente procedendo è utile guardare a quei paesi ove in questo momento vi sono robuste reti di sorveglianza epidemiologica e genomica. Il Sudafrica, per esempio, potrebbe essere all'inizio della sua quinta ondata di Covid-19, appena tre mesi dopo l'uscita dalla sua quarta ondata. Le nuove infezioni registrate nel paese sono in aumento da metà aprile. Il 18 aprile, sono stati registrati 1354 casi come media di sette giorni, più che raddoppiati nella settimana successiva. Quel che qui interessa, naturalmente, non è il numero assoluto di infezioni rilevate – il quale dipende come ben sappiamo dalle capacità di test di un paese – quanto la crescita registrata e, soprattutto, se questa crescita sia dovuta all’emergere di nuovi lignaggi virali.

 

Come sottolineato in una conferenza stampa tenutasi il 28 aprile, vi è in Sudafrica un aumento di due nuove sottovarianti Omicron, la BA.4 e la BA.5, che stanno rapidamente rimpiazzando la precedente variante BA.2, la quale aveva a sua volta sostituito molto presto la variante omicron iniziale – la BA.1. Come inoltre ha riportato il giorno seguente il ministro della Salute sudafricano, la risalita dei casi si è accompagnata anche a un nuovo aumento di ospedalizzazioni, anche se finora occupazione delle terapie intensive e casi mortali rimangono a valori bassi.

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Qualche breve notizia sulle varianti BA.4 e BA.5: la loro proteina Spike è identica, ma presenta alcune mutazioni rispetto alla variante BA.2, ovvero una delezione (69-70del), e poi le mutazioni L452R, F486V, mentre in posizione 493 vi è l’amminoacido originariamente presente nel ceppo di Wuhan (Q493); al momento, non è chiaro se le nuove sottovarianti discendano da BA.2 o siano invece prodotto di evoluzione indipendente. Come evidenziato dal laboratorio di Tulio de Oliveira della Stellenbosch University, in Sudafrica, BA.4 e BA.5 hanno rappresentato più della metà delle nuove infezioni del Sud Africa nella prima settimana di aprile e sono più trasmissibili rispetto al precedente alla versione BA.2, precedentemente dominante. Le nuove sottovarianti di Omicron, cioè, continuano a quanto pare a migliorare la propria capacità di propagazione fra gli esseri umani; Omicron BA.1 era già la variante più infettiva fino a quel momento comparsa, BA.2 accresceva ancora questa capacità e oggi BA.4 e BA.5 si propagano ancor più velocemente. Non siamo ancora ai livelli del morbillo, ma l’evoluzione continua nel suo prevedibile verso.

 

Un secondo lavoro, questa volta proveniente dal laboratorio di Alex Sigal dello Africa Health Research Institute, a Durban, sempre in Sudafrica, ci mostra poi un fatto che dovrebbe esserci ormai familiare: le nuove varianti, per emergere, devono essere in grado di superare la barriera immunitaria costituitasi nella popolazione, che sia dovuta a vaccini o a precedenti infezioni. Abbiamo già conosciuto le proprietà immunoevasive di Omicron BA.1 e BA.2; adesso, utilizzando qualche decina di sieri di soggetti non vaccinati, ma infettati da BA.1, oppure di soggetti vaccinati con il prodotto di Pfizer e comunque infettati da BA.1, i ricercatori hanno mostrato che l’attività neutralizzante contro BA.4 e BA.5 è bassa, peggio per i non vaccinati che per i vaccinati, ma comunque realisticamente insufficiente a proteggere dall’infezione. Che si sia vaccinati o meno, cioè, una precedente infezione da Omicron non protegge dall’infezione con le nuove varianti: in solo quattro mesi, l’immunità di popolazione è stata superata due volte, nel primo caso da Omicron BA.1 e BA.2, e oggi da BA.4 e BA.5.

 

Forse queste non saranno le nuove sottovarianti in grado di procurare una nuova ondata, di dimensioni paragonabili alle precedenti, ma illustrano bene come sta evolvendo il virus: l’evoluzione di un patogeno non si ferma né per decreto, né solo perché siamo stanchi, e nemmeno perché certi scienziati o clinici che ignorano come essa funzioni hanno deciso che ormai sia tutto finito

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