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cattivi scienziati

Gli scivoloni di Lancet su Sputnik. Meglio la revisione su Twitter

Enrico Bucci

Se, come nel caso del giornale scientifico inglese, la revisione dei pari funziona meglio sui social anziché nei comitati di revisione delle riviste, ci si chiede se queste non siano diventate soprattutto in tempi di pandemia una sorta di “buca delle lettere” 

Alla fine, il ministero della Salute argentino fa sapere che, a seguito della segnalazione da me effettuata di numerosi errori nell’ultimo articolo riguardante Sputnik pubblicato su Lancet, che vede la ministra della Salute come autore corrispondente, si provvederà a riesaminare il testo e si sottoporranno alla rivista le dovute correzioni. Vedremo quali saranno le correzioni pubblicate, e vedremo se sarà dichiarato il conflitto di interessi di chi, rappresentando il governo, è pure fra gli autori di un articolo in cui si discute di qualcosa che il governo ha molto a cuore; qui, però, mi interessa discutere di alcuni elementi della traiettoria dell’intera vicenda degli articoli di Sputnik pubblicati da Lancet.

 

Innanzitutto, va ricordato che questo è il terzo articolo pieno di errori e/o dati manipolati pubblicato su Sputnik da Lancet; è stato preceduto da un primo studio clinico con dati sospetti e da un secondo pure esso con notevoli incongruenze, senza che mai si riuscisse a ottenere l’accesso ai dati per verificare la fonte dei problemi evidenziati. Il comportamento di Lancet è stato quindi stigmatizzato dalla comunità scientifica che ha criticato la promozione di un particolare vaccino con articoli tanto sospetti, richiamando la rivista alle proprie responsabilità.

 

Nonostante questo pregresso, si arriva oggi a un ulteriore articolo pubblicato e trovato affetto da errori triviali, come dichiarato dagli stessi autori, che mai avrebbero dovuto passare la revisione di una rivista scientifica senza essere notati; ed è per questo lecito domandarsi quale sia il ruolo di una rivista scientifica dal pur prestigioso passato, se non quello di funzionare da filtro preliminare, per non esporre come fatti acclarati dati e interpretazioni che siano banalmente problematici.

 

Se, come in questo caso, la revisione dei pari funziona meglio su Twitter anziché nei comitati di revisione delle riviste, ci si chiede se queste non siano diventate soprattutto in tempi di pandemia una sorta di “buca delle lettere” quando le tematiche o gli autori di un manoscritto sono graditi al comitato editoriale; e se quindi non vi sia ragione di pensare a una serie di possibili conflitti di interesse e di preconcetti che, almeno su certi temi, rovinino la qualità del processo di revisione che pure bisognerebbe attendersi maggiormente selettivo ed efficace in giornali come Lancet.

 

Né Sputnik è il solo argomento in cui per Lancet è stata migliore la “revisione via Twitter” rispetto a quella ufficiale: insieme con quasi duecento colleghi in tutto il mondo, infatti, segnalammo mesi fa che era stato pubblicato dalla rivista un insieme di dati impossibili circa il danno causato dalla clorochina a pazienti Covid, finché si trovò che tutti i dati erano stati inventati da una piccola azienda che li aveva venduti agli autori, senza che nessuno controllasse. In quel caso, prima che l’editor in chief Richard Horton la dichiarasse una “monumental fraud”, e cinque giorni dopo che le incongruenze erano state segnalate alla rivista, si provò come sempre a pubblicare una correzione, tentando a tutti i costi di salvare il lavoro; tuttavia, alla fine lo si dovette ritrattare.

 

Io detesto il modo e i toni in cui fin troppo spesso si discute, in vari luoghi di Internet, di quanto è stato pubblicato da una rivista scientifica; eppure, sembra proprio che almeno in parte discussione e revisione vera dei risultati pubblicati avvengano meglio su un social forum che nei luoghi deputati, fino al punto che gli stessi autori rispondono più prontamente ed efficacemente in quella sede che non attraverso scambi epistolari mediati dalle riviste. È questa la direzione verso cui si vuole andare per le riviste scientifiche, sotto la spinta dell’imperativo commerciale di attrarre pubblico su storie “sexy” o di altri, meno confessabili, interessi?
 

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