Covid, vaccini allo stadio Olimpico (Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse) 

cattivi scienziati

I vaccinati resistono allo stesso modo a tutte le varianti. Uno studio

Enrico Bucci

Tutte le principali nuove varianti hanno cioè mostrato un rischio clinico peggiore rispetto al virus originale. Ma per i vaccinati nessuna delle varianti più importanti sin qui emerse sembra causare un rischio di ospedalizzazione più alto delle altre

Una delle questioni rimasta relativamente poco indagata fino a questo momento è se le diverse varianti di Sars-CoV-2 siano in grado di causare effetti clinici differenti. Un preprint prodotto da un ampio gruppo di ricercatori, principalmente di Seattle, prova a dare una risposta basandosi sull’analisi delle ospedalizzazioni in un gruppo di 23.170 soggetti infettati da diverse varianti, tutti sottoposti a sequenziamento dell’Rna virale e seguiti dall’inizio alla fine dell’infezione.  Si noti bene: anche se questo è ancora un preprint, per la sua importanza è stato sottoposto a revisione aperta da parte di due esperti, il dottor Olver Stirrup dell’University College di Londra (esperto in statistica) e il dott. Sergey Yegorov dell’Istituto per le malattie infettive della McMaster University, il cui giudizio complessivo circa la robustezza del lavoro è positivo almeno quanto il mio.

    
Fatta questa necessaria precisazione, passiamo a illustrare i risultati dello studio. Fra gli oltre 23 mila pazienti per i quali è stato sequenziato il genoma virale, 726 sono stati ospedalizzati per aver sviluppato Covid-19.

    
Suddividendo tutti i pazienti sulla base della variante che li aveva infettati si è trovato che, rispetto a soggetti non vaccinati ed esposti al virus originale, i soggetti che si siano infettati con una delle varianti nuove avevano in generale una maggiore probabilità di finire all’ospedale. Tutte le principali nuove varianti hanno cioè mostrato un rischio clinico peggiore rispetto al virus originale, con l’aumento di rischio maggiore causato dalla variante gamma (rischio 3,17 volte peggiore), seguito da variante beta (rischio 2,97 volte peggiore), delta (rischio 2,3 volte peggiore) e alfa (rischio 1,59 volte peggiore). Questo dato è coerente con molti studi precedenti e mostra che, per il momento, non vi è nessuna particolare tendenza del virus a perdere patogenicità. Si notano, inoltre, oscillazioni casuali tra le diverse varianti, coerentemente con la previsione ottenuta dal considerare che nel caso di Sars-Cov-2 la patogenicità non sembra per ora correlata in maniera significativa né alla trasmissibilità né all’infettività delle particelle virali.

   
Ma cosa succede se nello studio si separano i soggetti vaccinati da quelli non vaccinati? Per i vaccinati, contrariamente ai non vaccinati, non si osserva nessuna differenza di rischio fra tutte le varianti considerate. In sostanza, se e quando un soggetto vaccinato si infetta, nessuna delle varianti più importanti sin qui emerse sembra causare un rischio di ospedalizzazione più alto delle altre; l’aumentata patogenicità dei ceppi nei soggetti non vaccinati, cioè, è tamponata dai vaccini.

    
A questo punto, al netto di ulteriori conferme dei dati discussi, non solo possiamo dire che, almeno fino adesso, i soggetti vaccinati sono stati meno proni a infettarsi e a trasmettere il virus; non solo sappiamo che essi finiscono in ospedale o peggio molto, molto di meno rispetto ai soggetti non vaccinati; ma sappiamo anche che essi resistono allo stesso modo a tutte le varianti fin qui emerse, mentre invece per i non vaccinati la situazione dal punto di vista del rischio clinico, almeno in termini di ospedalizzazione, è decisamente peggiorata rispetto all’inizio della pandemia.

   
Questo studio è il primo a definire in maniera chiara il rischio clinico correlato alle varianti e allo stato vaccinale. Proprio per questo è necessario che, nonostante sia coerente con ciò che è emerso in altri studi su singole varianti non messe a paragone fra loro, giungano altri lavori indipendenti a confermarne il risultato e a espandere il campione di popolazione testato.

   
In ogni caso, l’evidenza che si continua ad accumulare punta ostinatamente verso l’efficacia dei vaccini di cui disponiamo su molti piani diversi, nonostante le varianti sin qui emerse; e prima che nuove varianti possano eventualmente cambiare il quadro, costringendoci a rincorrerle con vaccini diversi, sarebbe bene che chi deve ancora vaccinarsi si chiedesse se vale la pena di correre un rischio via via crescente man mano che il tempo passa.
 

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