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il foglio salute

Puntiamo sull’equità territoriale delle cure

Rosaria Iardino

Appello per una strategia del paese più uniforme in ambito sanitario

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C’è una dolce ma solida trasformazione in atto nel Servizio sanitario nazionale, e di conseguenza nei servizi sanitari regionali, che ha preso avvio con la riorganizzazione della medicina territoriale, dei distretti, della casa della salute e degli ospedali della salute. La volontà è quella di cambiare la cultura della cura, soprattutto tra gli operatori sanitari che vedono come svilente per la loro professione lavorare sul territorio; tutti, o almeno moltissimi di loro, vorrebbero lavorare nei grandi ospedali polispecialistici o mono specialistici e già il cambio di questo paradigma rappresenta un grande sforzo, cui si unisce l’intento di rendere riconoscibile, per il cittadino, il luogo di cura facendo sì che abbia lo stesso nome in tutta Italia. Quante volte è capitato – a me molte! – di dover andare a identificare un ente che si occupasse di organizzare l’erogazione delle prestazioni sanitarie sul territorio, e perdersi nei meandri delle sigle identificative apposte dalle diverse regioni e barcamenarsi tra Ats, Ussl, Usl.

Il linguaggio utilizzato dalle regioni per rimarcare l’autonomia su questo tema passa anche dalle definizioni differenti che le stesse hanno deciso di coniare per i loro enti locali sanitari; per il cittadino che vive in quella regione cambia poco perché non cambiano le sedi, non cambiano le modalità di accesso e dunque il nome non fa la differenza, ma il cittadino italiano che invece deve spostarsi in un’altra regione per una prestazione fa un po’ di fatica, e al cittadino che studia e analizza i vari sistemi sanitari regionali pare una follia. Adottare un linguaggio comune non significa avere meno autonomia, adottare un linguaggio comune significa aderire a una strategia del paese nell’ambito dell’offerta sanitaria, e l’autonomia sancita nel 2001 non solo resta integra, anzi, credo che vada a rinforzarsi ancora di più. Pare comunque evidente che linguaggio comune sia solo uno degli aspetti, che si affianca al ben più grave problema dell’accesso alle cure che cambia da regione a regione e quindi se si vive in una regione virtuosa allora ci saranno maggiori possibilità di cura e quindi di sopravvivenza. Credo che questo sia il grande tema, e credo che occorra continuare a ribadirlo perché è proprio in questo preciso momento che si può lavorare affinché ci sia un’equità territoriale che significa poi equità per tutti i cittadini: per un calabrese e per un lombardo l’accesso alla salute oggi non è lo stesso, e non ci dovrebbe essere questa variabile quando parliamo di diritto di accesso alla salute, soprattutto in un paese dove l’universalismo sanitario è un valore ritenuto assoluto.

Quando si riformano gli enti che si occupano di salute bisogna riformare veramente, e non limitarsi a qualche accorgimento strategico che però di fatto non cambia lo status quo. Quella che viviamo oggi è un’occasione storica che non sarà ripetibile per i prossimi vent’anni, certamente deriva da dei mesi che hanno messo tutti a dura prova ma che hanno anche insegnato molte cose, prima tra tutte il dover poter contare su un sistema solido e funzionale, dove il fine ultimo sia quello di dare delle garanzie di cura ai cittadini. Sarà responsabilità di ognuno di noi fare la propria parte, auspicando che chi ha responsabilità di comando sappia rimuovere tutti coloro che questo cambiamento non solo non lo vogliono ma ne ostacolano l’esercizio.

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Rosaria Iardino è presidente della Fondazione The Bridge

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