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editoriali

Complotto contro AstraZeneca? No

redazione

Errori dell’azienda, isteria della politici. La fiducia non risparmia nessuno

La frettolosa e sconsiderata decisione di gran parte degli stati europei, Italia inclusa, di sospendere il vaccino AstraZeneca sta alimentando una serie di retropensieri e interpretazioni che cerca di spiegare come si sia potuti arrivare a una misura del genere. Siccome i casi di effetti avversi sono talmente rari e neppure provati, la ragione – o la vera ragione – che ha spinto gli stati a un divieto del genere dev’essere un’altra. E il pensiero è andato, ovviamente, a una specie di “complotto” all’interno di Big Pharma, o meglio a una guerra di disinformazione tra case farmaceutiche concorrenti per conquistare una fetta più grande del mercato dei vaccini. In quest’ottica, AstraZeneca sarebbe l’azienda da far fuori perché produce un ottimo vaccino che è il più economico (2-3 dollari a dose, contro i 15-20 di Pfizer e Moderna). In passato anche il patron italiano dell’Irbm, che collabora con AstraZeneca, ha fatto capire che molti problemi potrebbero derivare da questo elemento: “Ho il sospetto che questo vaccino dia fastidio perché costa troppo poco”. In realtà non è così.

Molte criticità sono responsabilità dell’azienda, da un  problema di dosaggio durante il trial clinico alle difficoltà di produzione per soddisfare i quantitativi pattuiti. Altri, come questo crollo della fiducia, sono il prodotto del panico e dell’isteria dei governi e dei regolatori (eccetto l’Ema). Ma è difficile ipotizzare che dietro ci sia lo zampino dei concorrenti. Per un semplice motivo: il caso AstraZeneca mina la fiducia non solo nel suo vaccino ma in tutto il sistema, che è ciò su cui si basa la credibilità degli altri vaccini. Inoltre crea un precedente pericoloso anche per tutte le altre case produttrici autorizzate, i cui vaccini potrebbero essere vittime dello stesso irragionevole meccanismo. A proposito di analisi rischi-benefici: distruggere la credibilità del proprio mercato è un rischio che nessuna casa farmaceutica correrebbe pur di erodere qualche quota di mercato a un concorrente. Tanto più che ormai, con i contratti  firmati, tutto ciò che si può produrre è già venduto.

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