L'intervento integrale

Speranza: "Rt si avvia a superare la soglia di 1. Contro le varianti servono misure rigorose"

Il ministro della Salute ha annunciato al Senato le novità sui provvedimenti per il contrasto della pandemia

Il ministro della Salute Roberto Speranza è intervenuto al Senato per un'informativa sulle nuove misure per il contrasto della pandemia di Covid-19. "Il valore Rt si avvia a superare, con le misure attualmente in vigore, la soglia di 1". Un nuovo aumento del numero dei casi "potrebbe portare ad un sovraccarico dei sistemi sanitari", ha detto Speranza, che ha rimarcato come il numero dei pazienti in terapia abbia superato la soglia critica in 5 regioni, dove si è verificato un aumento dei recoveri. "Con maggiore velocità la diffusione della variante inglese rende indispensabile alzare il livello di guardia. È ancora possibile contenerne la diffusione purché vengano applicate misure molto rigorose, che chirurgicamente possono ridurre i focolai", ha detto il titolare alla Salute. Che parlando di vaccini ha parlato di "primi segnali di immunità incoraggianti". Il nuovo dpcm con le misure di contrasto alla pandemia sarà in vigore dal 6 marzo al 6 aprile, quindi fin dopo Pasqua. 

 

Ecco il testo integrale dell'intervento di Speranza

 

Onorevoli colleghi,

in un rapporto costante e positivo con il Parlamento torno a riferire in Aula, consapevole che un raccordo stretto tra il Governo ed il Parlamento è l’unica strada efficace per gestire questa emergenza sanitaria senza precedenti nella nostra storia.

 

Sono qui, doverosamente, non solo per informare prima il Senato e poi la Camera, ma anche e soprattutto per ascoltare con attenzione le valutazioni e le proposte che emergeranno dal dibattito che si svolgerà oggi. La scadenza del dpcm vigente è prevista per il 5 marzo. Il governo è qui in aula, con largo anticipo, in ossequio alla normativa vigente, proprio per ascoltare con attenzione proposte e suggerimenti di tutti i parlamentari.

 

Con lo stesso spirito, nei prossimi giorni, sarò nelle competenti commissioni, per proseguire anche in quella sede il confronto con tutte le forze politiche.

 

Parallelamente, come avviene sin dalle prime ore dello scoppio di questa terribile pandemia, continua il confronto con le Regioni, le province autonome, l’Anci e l’Upi. È chiaro a tutti che solo il comune lavoro di tutte le istituzioni può portarci a vincere la sfida che abbiamo dinanzi.

 

Questo dibattito è particolarmente rilevante perché è il primo che si svolge, dopo il voto di fiducia, e il conseguente avvio del nuovo governo.

Siamo, con ogni evidenza, in una situazione politica completamente nuova.

 

A tal proposito, permettetemi di ringraziare il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che con autorevolezza ha consentito al nostro Paese di uscire da una difficile crisi politica.

 

Adesso, superata la crisi, con una maggioranza parlamentare larghissima, tutti dobbiamo sentire forte, l’obbligo politico e civile, di corrispondere positivamente alle ragioni sostanziali che hanno portato alla nascita di questo esecutivo: fronteggiare con determinazione le gravi emergenze sanitarie, economiche e sociali che la pandemia ha determinato in Italia. 

 

Mai come nella situazione che stiamo vivendo è terribilmente vero che il tempo, nell’affrontare i problemi, non è una variabile indipendente.

 

Il Presidente del Consiglio, nel suo primo discorso in aula, con il quale ha illustrato il programma del governo e richiesto la fiducia al Parlamento, ha affermato che : “L’unità non è una opzione, ma un dovere”.

 

Sono parole forti e chiare che hanno il pregio di non avere bisogno di essere spiegate o interpretate.

 

Di una vera unità, anche delle forze che oggi sono all’opposizione, abbiamo una assoluta necessità, per sconfiggere questo maledetto virus che ha stravolto le nostre vite.

 

Ho sempre sollecitato ed auspicato una vera e propria “coesione nazionale” nella gestione dell’emergenza.

 

Ripeto oggi le stesse parole perché, a mio avviso, sintetizzano l’orientamento di fondo che deve guidare ogni giorno il nostro lavoro.

 

“Dal 20 febbraio, dai primi casi di Codogno, un anno fa, è stato subito chiaro a tutte le persone responsabili e di buona volontà che senza uno sforzo unitario delle istituzioni repubblicane e di ogni cittadino non si sarebbe arginato, né tantomeno sconfitto questo nemico incredibilmente forte che, all’improvviso, ci ha costretto a rinunciare a libertà personali che ritenevamo inattaccabili ed ha colpito duramente le nostre attività economiche.

 

Non c’è un’altra strada, diversa dell’unità, per affrontare l’emergenza sanitaria, economica e civile più grande che abbiamo conosciuto dal dopoguerra.

 

Siamo nell’ultimo miglio, ad un passaggio delicato e decisivo per vincere finalmente questa lunga e difficile battaglia che stiamo conducendo, da mesi, contro questo nemico invisibile.

 

Adesso, ancor di più che in altre fasi dell’emergenza, serve uno sforzo unitario, una leale collaborazione a Roma ed in tutte le regioni.”

 

A queste parole voglio aggiungere una ulteriore considerazione che ritengo molto rilevante.

 

La pandemia non si batte solo con il buon governo centrale e territoriale, con provvedimenti puntuali e tempestivi delle istituzioni, con il prezioso ed insostituibile lavoro della comunità scientifica e dei nostri professionisti sanitari.

 

L’arma in più, quella determinante, è la collaborazione attiva di ogni persona, è una consapevolezza diffusa delle nostre comunità di osservare tutte le “buone pratiche” per tutelare la sicurezza individuale e collettiva ed i provvedimenti adottati.

 

Questo risultato, lo raggiungiamo in modo tanto più efficace quanto più siamo in grado, insieme, di trasmettere un messaggio di forte coesione e condivisione delle decisioni assunte.

 

Come è del tutto evidente, infatti, le polemiche disorientano cittadini sempre più stanchi per la lunga crisi, preoccupati ed incerti per il loro futuro perché colpiti dalle conseguenze sociali ed economiche della pandemia.

 

Io credo che insieme all’unità e alla responsabilità, sia indispensabile dire sempre la verità al Paese sull’andamento della pandemia che ha colpito, senza alcuna distinzione, tutti i cittadini.

 

Onorevoli colleghi, la prima indicazione che per il vostro tramite voglio rivolgere al Paese è riconfermare un messaggio di fiducia: sconfiggeremo il virus, grazie alla scienza e grazie al lavoro quotidiano del nostro personale sanitario che non smetteremo mai di ringraziare per il lavoro instancabile che svolge ogni giorno.

 

Dover constatare che la ricerca scientifica, con un lavoro straordinario senza precedenti nella storia della medicina, è stata più veloce dell’aumento della capacità produttiva delle aziende produttrici di vaccini non deve indurci in valutazioni sbagliate.

I ritardi di alcune forniture, che pure purtroppo ci sono, non cambieranno l’esito finale della partita in corso: il Covid, con il progressivo aumento delle consegne dei vaccini, è destinato ad essere arginato.

 

Non è una frase retorica priva di fondamento continuare ad affermare che finalmente vediamo la luce in fondo al tunnel.

 

Più avanti mi soffermerò sulla campagna vaccinale, ma da subito mi premeva richiamare con nettezza un messaggio di ragionata fiducia sul nostro futuro.

 

Il secondo messaggio, vuole e deve essere altrettanto chiaro: in questo ultimo miglio non possiamo assolutamente abbassare la guardia.

Non ci sono oggi le condizioni epidemiologiche per allentare le misure di contrasto alla pandemia.

 

Quella che esprimo è una valutazione, condivisa e supportata dai nostri scienziati, dall’Istituto Superiore di Sanità, dal Consiglio Superiore di Sanità e dal Comitato tecnico scientifico.

 

A proposito di questo organismo, che va innanzitutto ringraziato per il prezioso lavoro svolto in questi mesi, tutto quel che può essere fatto per renderlo più agile e tempestivo è sicuramente utile al nostro lavoro.

Anche l’idea di un portavoce unico è una proposta che può essere considerata positivamente.

 

Non sottovalutare le difficoltà ed i rischi è indispensabile per tentare di evitare una nuova diffusione incontrollata del contagio che metterebbe nuovamente in crisi i nostri ospedali e renderebbe più difficile la campagna di vaccinazione.

Non è un problema italiano: è il mondo nel quale viviamo che non è in una condizione di sicurezza perché è ancora forte la circolazione del virus, si fanno strada varianti con un tasso di contagiosità elevato e resta troppo alto il numero delle vittime.

 

Dire la verità al paese è un obbligo che tutti dobbiamo avvertire molto forte anche quando queste verità sono scomode da raccontare.

 

I dati, come sempre, sono più chiari e precisi delle parole.

 

 

In Europa ci avviciniamo alla soglia di 1 contagiato ogni 10 abitanti e siamo ad 1 deceduto ogni 530 abitanti.

 

1 contagiato ogni 10 abitanti in Europa credo sia un dato che esprima da solo la forza e la pericolosità di questo virus che stiamo combattendo.

 

Nel mondo siamo a 112 milioni di casi confermati dall'inizio della pandemia ed a 2 milioni e mezzo di persone che hanno perso la vita per il Covid.

 

Senza dilungarmi in una serie troppo lunga di dati, tutti molto interessanti, per capire il fenomeno, mi limito a richiamare una notizia riportata nei giorni scorsi dai giornali di tutto il mondo.

 

Una notizia terribile nella sua drammatica evidenza.

Nella grande America, il virus ha provocato più morti della prima e seconda guerra mondiale e della guerra nel Vietnam.

 

Prima di analizzare nel dettaglio la situazione italiana vorrei molto brevemente ricordare le misure attualmente in vigore in alcune delle principali nazioni europee.

 

La Gran Bretagna è in lockdown da due mesi. È il terzo lockdown in un anno e solo l’8 marzo riapre le scuole. Il Portogallo è in lockdown, la Spagna ha adottato un sistema differenziato con misure molto restrittive.

 

In Germania, che nell’ultima settimana ha registrato solo 7000 casi al giorno, fin dalla metà di dicembre e stato istituito un lockdown generale (il secondo per loro) con chiusura delle scuole, massima implementazione del lavoro a distanza e chiusura degli impianti sciistici. 

La sospensione del lockdown è prevista per marzo ma la Merkel ha già annunciato che sarà necessario un rilascio progressivo delle misure anche in considerazione della insidiosa presenza delle varianti. 

In Francia, continuano a perdurare importanti misure restrittive, con chiusura di bar e ristoranti ininterrotta da ottobre e coprifuoco che dalla metà di gennaio è stato anticipato alle ore 18 fino alle 6 del mattino. Gli impianti di risalita nelle località sciistiche rimangono chiusi e non si prevede un vero e proprio avvio della stagione. Nonostante queste misure, il Paese ha registrato nell’ultima settimana una media di 22.000 casi al giorno.

 

Per la prima volta anche la Svezia, che non ha mai prima adottato severe misure restrittive di contenimento, si è dotata di una legge nazionale che conferisce al governo il potere di decidere lockdown totali.

 

Mi sembra, dunque, evidente che le principali nazioni europee, governate da maggioranze e forze politiche di diverso orientamento politico, hanno scelto, dopo la prima ondata, una linea comune di massimo rigore per arginare la diffusione della pandemia.

 

L’Italia si muove nel solco di questa linea europea di prudenza, di cautela e di primato della difesa del diritto alla salute.  

Questa valutazione ha portato il governo, già lunedì scorso, ad approvare in cdm il decreto che proroga al 27 marzo il divieto di spostamento tra regioni e il limite delle due persone per le visite alle abitazioni private in area gialla ed area arancione.

 

 

Credo sarebbe un grave errore se, all’improvviso, senza una chiara evidenza scientifica, non confortata da robuste analisi epidemiologiche, affrontassimo in modo diverso dalle grandi nazioni a noi vicine la parte finale della lunga emergenza sanitaria che stiamo vivendo.

 

È una pericolosa illusione immaginare di poter vincere una sfida globale come la pandemia senza una forte dimensione europea delle nostre iniziative sul cui coordinamento internazionale dobbiamo continuare ad investire. 

 

Differenziare le misure sul piano regionale, legando le scelte a parametri scientifici, ci consente di agire in modo proporzionale alla effettiva situazione di contagio di ciascun territorio e ci ha permesso finora di non ricorrere ad altri lockdown generalizzati oltre a quello del marzo scorso. Non dobbiamo dimenticare che altri Paesi in Europa, come prima ricordavo, ne hanno fatti due o addirittura tre. 

I paramenti che portano alla definizione delle zone di rischio sono stati adottati sulla base di valutazioni scientifiche e sono sempre stati condivisi dalle regioni. Ritengo sia utile in questa fase, anche alla luce dell’impatto delle varianti, favorire un nuovo confronto con un tavolo tecnico tra esperti dell’Istituto Superiore di Sanità, del Ministero della Salute e delle regioni per valutare il quadro in cui siamo.

 

Analizzando con serietà la curva del contagio, stando rigorosamente ai numeri ed alle valutazioni che ogni settimana registra la cabina di regia, che come è noto è composta da 9 membri di cui 3 del ministero della salute, 3 dell’Istituto Superiore di Sanità e 3 da rappresentanti delle regioni, allo stato delle cose è fondamentale mantenere un approccio di grande prudenza.

 

È vero, anche grazie alle misure severe adottate durante le festività di Natale, il nostro tasso di incidenza è, attualmente, migliore di quello rilevato in molti altri paesi europei. 

 

Ma i dati epidemiologici vanno letti nella loro progressiva evoluzione e non staticamente. È già accaduto nel corso di questa pandemia che nel nostro Paese il peggioramento della curva del contagio ci colpisse con qualche settimana di ritardo.

 

La cabina di regia nel suo ultimo monitoraggio evidenzia che: “in Italia si confermano, per la terza settimana consecutiva, segnali di tendenza ad un graduale incremento nell’evoluzione epidemiologica”. 

 

L’incidenza settimanale supera la soglia di 250 casi per 100.000 abitanti in tre regioni/PA.

 

L’incidenza nazionale rispetto alla settimana precedente passa da 133,13 a 135,46 per 100.000 abitanti.

 

L’incidenza settimanale è dunque ancora lontana dal livello di casi, alla settimana ogni 100.000 abitanti,   che consentirebbe su tutto il territorio nazionale l’identificazione e il tracciamento dei loro contatti, azione su cui dobbiamo continuare ad investire con ogni energia. 

 

Il numero di nuovi casi non associati a catene di trasmissione aumenta (29.196 contro 28.360 della settimana precedente).

 

Con incidenza alta e crescente si riduce la capacità di contact tracing, di prevenzione dei sistemi sanitari regionali e conseguentemente aumentano i rischi di diffusione incontrollata.

 

Con questo livello di incidenza abbiamo le terapie intensive in 5 regioni sopra la soglia critica (30%), mediamente sono occupate al 24% con fortissime variazione da regione a regione. Negli ultimi giorni si consolida un aumento complessivo del numero di persone ricoverate.

 

L’Rt medio calcolato sui casi sintomatici è nell’ultimo rilevamento pari a 0,99 (range 0,95– 1,07), in crescita rispetto alla settimana precedente e con un limite superiore che supera l’uno.

Dieci Regioni/PPAA hanno un Rt puntuale maggiore di 1 di cui nove anche nel limite inferiore, compatibile con uno scenario di tipo 2, in aumento rispetto alla settimana precedente.

 

Fuori da tecnicismi questo significa che l’Rt si avvia, con le misure attualmente in vigore, a superare la soglia di 1.

 

Anche i non addetti ai lavori hanno ormai imparato che con un Rt superiore ad 1 il numero di contagiati quotidiani aumenta costantemente in modo sempre più significativo.

 

Un nuovo aumento nel numero di casi potrebbe rapidamente portare ad un sovraccarico dei servizi sanitari visto il contesto di incidenza molto elevata con numerose persone ricoverate in area critica.

 

Più in generale, io credo che per affrontare positivamente questo ultimo miglio, mentre va avanti la campagna di vaccinazione, sia fondamentale non perdere mai la memoria dei mesi che sono alle nostre spalle e i sacrifici e le perdite che abbiamo dovuto pagare.

 

Tutti gli studi epidemiologici ci dicono che c’è un rapporto molto stretto tra l’anda-

 

mento della curva del contagio e le misure di contenimento adottate.

 

 

È così in Italia, in Europa ed in tutto il mondo.

 

I numeri ancora una volta, nella loro evidenza non lasciano spazio per dubbi interpre-

 

tativi.

 

 

Il 20 marzo nella giornata più drammatica della prima ondata abbiamo registrato 6.237 

 

casi.

 

 

Dopo il lockdown, a luglio, la media giornaliera era scesa a 237,4 casi al giorno.

 

 

In estate, dopo un allentamento delle misure, ed alcune riaperture, siamo passati dai 

 

778,5 casi di luglio, a 1608 di agosto (con una punta massima di 2.558) ai circa 10.000 

 

casi di media a settembre. 

 

Ad ottobre, poi, siamo passati a 183.243 casi a settimana. 

 

 

Poi, con un rafforzamento delle misure previste nelle 3 fasce, abbiamo supe-

 

rato positivamente le festività natalizie.

 

 

Nella indiscutibile chiarezza di questi numeri c’è la ragione di sfondo che ci spinge ad 

 

essere particolarmente prudenti, tanto più in questa fase in cui si diffondono varianti 

 

molto più contagiose e pericolose.

 

 

La presenza di nuove varianti condizionerà l’epidemia nel suo complesso.  

 

La variante Inglese è presente ormai diffusamente in gran parte del territorio nazionale. L’ultimo studio dell’Istituto Superiore di Sanità ha certificato la sua presenza nel 17,8% dei casi. Questo dato è in forte crescita a causa di una sua maggiore velocità di trasmissione di circa il 35/40% rispetto al ceppo originario. Questa variante presto sarà prevalente nel nostro Paese come lo sta già diventando negli altri Paesi europei. Non vi è alcun dubbio che questa maggiore velocità di diffusione renda più difficile il controllo del virus e renda ancora più indispensabile alzare il livello di guardia nel Paese. 

 

Fortunatamente, però questa variante, emersa per la prima volta nel Kent e ormai diffusa in tutta Europa, non compromette la efficacia dei vaccini. 

 

Altre due varianti, la Brasiliana e la Sudafricana, sono maggiormente insidiose, in quanto potrebbero ridurre, seppure parzialmente, l’efficacia vaccinale. Studi e ricerche sono in corso per approfondire il loro impatto e la loro resistenza ai vaccini.

 

Essendo la loro circolazione per ora ristretta ad alcune parti del territorio nazionale, è ancora possibile contenerne la diffusione, purché vengano adottate ed applicate con tempestività misure molto rigorose. 

 

Queste possono chirurgicamente circoscrivere i focolai, favorendo il distanziamento all’interno dell’area ed evitando la mobilità verso l’esterno.

 

A seguito della comparsa delle varianti, e in conseguenza dell’emergere di focolai caratterizzati da intensa attività virale, sono state implementate diverse di queste zone rosse o arancioni rafforzate anche a livello subregionale. 

 

Proprio negli ultimi giorni, infatti, è stata segnalata da parte di 5 regioni la necessità di 25 zone rosse, alcune decise a causa dell’insorgere di focolai epidemici dovuti a variante Inglese, altre alla presenza di variante brasiliana o sudafricana.

 

Tali misure restrittive sono indispensabili. Siamo consapevoli che esse comportano sacrifici, ma non vi è altra strada in questo momento per evitare un peggioramento del quadro epidemiologico. C’è tutto l’impegno del governo a promuovere congrui ristori per quelle attività economiche ed imprenditoriali che stanno pagando a caro prezzo le misure di contenimento e di mitigazione. Questo, a mio avviso, deve valere per le ordinanze nazionali da me firmate settimanalmente, che d’ora in avanti andranno in vigore a partire dal lunedì, come per quelle subregionali assunte sotto la responsabilità degli amministratori territoriali.

 

L’evoluzione del quadro epidemiologico merita di essere seguita con la massima attenzione. Dovremo verificare, passo dopo passo, se le misure siano adeguate a fronteggiare la situazione che va delineandosi.

 

La bussola per me, nella scrittura del prossimo dpcm che sarà in vigore dal 6 marzo al 6 aprile, deve essere sempre il principio di tutela e salvaguardia del diritto fondamentale alla salute sancito dalla nostra Costituzione all’articolo 32.

 

Nella battaglia a questo terribile virus, che ci ha colpito così duramente, non dobbiamo avere esitazioni. 

 

Limitare la diffusione del contagio, sino a quando con la campagna di vaccinazione non argineremo definitivamente il Covid e le sue varianti, sono i presupposti indispensabili per tornare a far crescere in modo stabile, sostenibile e giusto il nostro Paese. La vittoria sanitaria è la prima indispensabile mattonella per far ripartire davvero il Paese. 

 

Non ci può essere vera crescita senza sicurezza sanitaria.

 

Accelerare la campagna di vaccinazione è, anche in questo senso, l’obiettivo fondamentale che dobbiamo e vogliamo perseguire per sconfiggere nei tempi più rapidi possibili il Covid.

 

Anche e soprattutto su questo tema è fondamentale non alimentare polemiche e divisioni che disorientano e scoraggiano gli italiani.

 

Mi rivolgo a tutte le forze politiche: il buon esito della campagna di vaccinazione è obiettivo di tutto il Paese, non di una parte.

 

Il nostro è un grande Paese in grado di vaccinare centinaia di migliaia di cittadini al giorno. Le regioni stanno ulteriormente rafforzando la loro capacità organizzativa.

 

Al personale delle Asl, a quello reclutato dal commissario straordinario, ai medici della sanità militare, si sono aggiunti, con l’accordo che domenica sera abbiamo siglato con tutte le organizzazioni sindacali, i medici di famiglia. Voglio ringraziarli tutti.

 

La loro adesione è un fatto importante. Si tratta di oltre 40.000 professionisti che con la loro presenza capillare in ogni angolo del Paese e con il loro rapporto fiduciario con gli assistiti assicureranno alla nostra campagna di vaccinazione nuova linfa appena avremo a disposizione un numero adeguato di dosi di vaccino fuori dalla catena del gelo.

 

Abbiamo dunque, uno squadra di vaccinatori articolata e molto forte, pronta a svolgere con passione e professionalità questo lavoro decisivo per fermare definitivamente la diffusione del Covid nel nostro Paese.

 

Il lavoro per organizzare, sempre meglio, la campagna di vaccinazione, va avanti da mesi, senza un attimo di sosta.

 

Giorno dopo giorno, le regioni e la struttura del commissario, stanno attrezzando sempre più punti di vaccinazione, il sistema informatico realizzato funziona adeguatamente e si procede ad un ulteriore miglioramento della logistica di supporto.

 

E’ decisiva per una risoluta ed effettiva accelerazione della nostra campagna vaccinale, la consegna puntuale, delle dosi che abbiamo, per tempo, opzionato.

 

L’Italia non si rassegna alla riduzione delle dosi che, sulla base dei contratti siglati dalla commissione europea definisce nel 13,46% la quota di vaccini spettanti al nostro paese per ogni accordo sottoscritto.

 

Con i vertici delle istituzioni comunitarie, d’intesa con le grandi nazioni europee, stiamo esercitando il massimo di pressione nei confronti delle aziende produttrici affinché si trovino soluzioni necessarie al fine di aumentare la produzione dei vaccini.

 

Per affrontare e risolvere questo problema vanno perseguite tutte le soluzioni possibili. Nessuna esclusa.

 

Come hanno sostenuto prestigiose personalità della comunità scientifica, del mondo politico e religioso, dell’associazionismo e del volontariato, dinanzi ad una emergenza sanitaria di queste dimensioni, non regge l’idea di una proprietà esclusiva dei brevetti. Produrre vaccini deve essere considerato un bene da mettere a disposizione di tutti i paesi del mondo, quelli ricchi e fortemente sviluppati e quelli maggiormente in difficoltà, con sistemi sanitari più fragili.

 

Il vaccino deve essere effettivamente un bene comune, accessibile a tutte le donne e gli uomini della terra. Un diritto di tutti, non un privilegio di pochi.

 

Il nostro Paese, che sin dall’inizio della pandemia ha promosso e sostenuto l’iniziativa comunitaria per l’acquisto centralizzato dei vaccini, sempre d’intesa con la Commissione europea, è al lavoro da tempo per verificare concretamente la possibilità di mettere a disposizione impianti farmaceutici italiani per accelerarne la produzione.

 

Più in generale, la scelta che il governo intende promuovere con determinazione è quella di continuare ad investire per sostenere e sviluppare il sistema industriale italiano della farmaceutica che è un asset strategico fondamentale per il nostro Paese.

 

Non per coltivare una illusoria autosufficienza nazionale, ma per essere un partner sempre più forte ed autorevole del sistema produttivo europeo e mondiale.

 

Quello farmaceutico è un settore industriale strategico nel quale l’Italia, nel vivo della pandemia, ha già investito per la produzione degli anticorpi monoclonali con il lavoro prezioso di Toscana Life Science e per sostenere la produzione del vaccino italiano realizzato da ReiThera anche grazie al lavoro dell’Istituto Spallanzani. 

 

Voglio anche ricordare che il vettore virale del vaccino Astrazeneca viene dall’IRBM di Pomezia e che l’infialamento sia per Astrazeneca che per Johnson & Johnson avviene alla Catalent di Anagni. 

 

Con il progressivo aumento della consegna delle dosi potremo accelerare l’attuazione del piano strategico vaccinale portato al Parlamento il 2 dicembre e la sua successiva integrazione passata in Conferenza stato regioni nella seduta del 03.02.2021.

 

Gli obbiettivi strategici ai quali lavoriamo, in un rapporto quotidiano molto stretto con tutte le regioni italiane e la struttura del Commissario all’emergenza sono tre.

 

Innanzitutto ultimare il più rapidamente possibile la prima fase della nostra campagna vaccinale per mettere in sicurezza tutto il nostro personale socio sanitario, le RSA, ed i cittadini italiani con più di 80 anni. 

 

Sono le categorie più esposte, quelle che  hanno pagato il prezzo più alto, in termini di vite umane, nella prima e nella seconda ondata della pandemia. I primi segnali di immunità in queste categorie sono ben visibili e rappresentano un incoraggiante segnale di speranza per tutti noi. Voglio ricordare che 6 decessi su 10 nel nostro Paese sono avvenuti tra persone con più di 80 anni. Vaccinarle significa metterle in sicurezza e salvargli la vita. 

 

Daremo ora la massima attenzione alle categorie particolarmente fragili, affette da una o più patologie gravi così come individuate d’intesa con il Consiglio Superiore di Sanità.  Voglio ringraziare inoltre il Comitato nazionale di bioetica per i preziosi suggerimenti.

 

Parallelamente, e questo è il terzo obiettivo, sono state avviate le prenotazioni e le prime vaccinazione per il personale scolastico che rappresenta una priorità per alzare la sicurezza delle nostre scuole e favorire la didattica in presenza, e per il personale dei servizi pubblici essenziali. Per queste immunizzazioni è utilizzato il vaccino Astrazeneca che è, ad oggi riservato, alle persone con meno di 65 anni.

 

Si tratta di un lavoro imponente.

 

Ai milioni di italiani che aspettano il loro turno per essere vaccinati ripeto, in conclusione, il messaggio di fiducia e di speranza che ho rivolto loro all’inizio del mio intervento.

 

La comunità scientifica internazionale ha compiuto un’impresa senza precedenti rendendo possibile la produzione in tempi record di vaccini efficaci e sicuri.

 

Il loro lavoro sta proseguendo in queste settimane studiando l’efficacia dei vaccini in relazione alle nuove varianti del Covid che si stanno diffondendo nel mondo.

 

La produzione di vaccini per miliardi di persone ha, come è del tutto evidente, messo a dura prova il sistema industriale di riferimento.

 

Ci sono ritardi nella consegna delle dosi che saranno superati, ma la campagna vaccinale non si ferma, va avanti e, giorno dopo giorno, aumenterà la quota di cittadini immunizzati.

 

L’Italia è un grande Paese che insieme all’Unione europea, alla comunità scientifica internazionale ed ai nostri professionisti sanitari, sarà all’altezza di questa sfida.

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