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Il Foglio Salute

“Troppi errori del governo Conte. Ora veloci con i vaccini”

Bianca Maria Sacchetti

Parla il responsabile Sanità di FdI, Gemmato: “Bisogna ripensare il Titolo V. Draghi faccia il bene dell’Italia”

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L’ emergenza sanitaria ha coinvolto e stravolto la politica che, in un primo momento, è sembrato si compattasse, tramortita dalla pandemia e dalla paura dell’ignoto ma, dopo la pausa estiva e in occasione della cosiddetta seconda ondata, è tornata a dividersi e, come o più di sempre, ognuno ha proposto la propria ricetta, in particolare, oggi, sul piano vaccini, visto come l’unica strada praticabile. Ugualmente divisivo è stato il tema delle misure restrittive, che ogni schieramento ha concepito in maniera diversa e con maglie più o meno larghe. Molti i diritti fondamentali da coniugare tra loro, evidenziati da questo periodo di affanno collettivo, quali la salute, la sicurezza ma anche la libertà economica, il lavoro e il diritto all’istruzione. Doverosa la riflessione, dunque, sull’assetto costituzionale del Titolo V, che nella ripartizione delle funzioni Stato-Regioni ha evidenziato il conflitto in tema di sanità tra i due livelli di governo e, spesso, la sperequazione esistente tra le diverse sanità regionali. Questo e altro abbiamo chiesto a Marcello Gemmato, responsabile Sanità di Fratelli d’Italia.

 

Onorevole Gemmato, quale il giudizio sulla gestione della pandemia dall’inizio a oggi?
Il giudizio è fortemente negativo, e non è una questione di posizionamento politico ma una valutazione corroborata dai fatti. Come FdI rileviamo che l’Italia è prima al mondo per mortalità su 100 mila abitanti e siamo terzi per letalità, ovvero il parametro che indica il rapporto fra morti e malati. Fin dall’inizio non esisteva un piano pandemico nazionale e da quel punto in poi il governo ha dovuto improvvisare un piano di emergenza. Abbiamo dovuto portare il ministro della Sanità davanti all’autorità giudiziaria, il ministero si è costituito e ha perso. Siamo oggi in attesa che venga prodotto questo documento. C’è stata poi una evidente carenza del territorio e la normativa voluta dalla sinistra decretava che si andasse incontro a un modello di sanità non più ospedalocentrico, dando dei parametri il cui unico risultato è stato quello di ridurre l’assistenza sanitaria. Dicevano in giro che bisognava attrezzare i medici di base, i pediatri, la continuità assistenziale; tutto questo non è stato fatto negli anni e si è creato un vuoto.

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C’è stato anche un gap di attenzione fra prima e seconda ondata?
Sicuramente, ed era proprio quella l’occasione per uno sforzo maggiore: bisognava attrezzare le terapie intensive, comprare i dispositivi di protezione individuale, attivare le convenzioni di trasporto con il settore privato.

 

La politica dei ristori ci ha visti compiere scelte settoriali anche quantitativamente più ridotte rispetto ad altre nazioni: le misure sono stati adeguate alle urgenze economiche del paese?
Assolutamente no. I ristori sono stati non cadenzati, non programmati e hanno lasciato intere categorie della nazione scoperte. Liberi professionisti e partite Iva hanno dovuto collegarsi ogni giorno a un sito in cerca dell’indennizzo promesso. Dovevano essere indicati giorno e cifra certi e bonificare direttamente su conto corrente il dovuto. Intere categorie professionali sono state mortificate e continuano a manifestare; solo pochi giorni fa erano sotto Montecitorio i mercatali che letteralmente non hanno ricevuto niente.

 

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Cosa dire delle misure di lockdown?
Su questo si può essere clementi: è evidente che siamo stati impreparati perché nessuno poteva aspettarsi tanto. Bisogna però dire che alcuni errori sono stati fatti. Ad agosto sono stati desecretati i verbali del CTS – a proposito, ci chiediamo, perché secretarli anche ai parlamentari e alla commissione sanità? – Comunque, il CTS aveva inizialmente raccomandato di realizzare una zona rossa nelle sole prime 14 province del nord colpite dall’epidemia e si poteva lasciare intanto libero il resto d’Italia che non avrebbe subìto questo contraccolpo economico. Non si può negare che ci sia un problema fra regioni e stato, l’equilibrio dei poteri va rivisto perché produce incomprensioni.

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Su questo, quale l’opinione sull’attuale assetto costituzionale?
Il Titolo V della Costituzione va ripensato e attualizzato, anche perché ha compiuto 40 anni, alla luce di ciò che ha comportato la fase pandemica. Oggi abbiamo 20-21 sistemi sanitari differenti e c’è un dialogo difficile fra regioni e stato e inefficienze di collegamento fra ministero della Sanità ed enti territoriali.

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Il piano vaccini è la vera sfida ancora in piedi: un commento anche sulla gestione commissariale di Arcuri.
Io Arcuri l’ho definito Superman. Parliamo di un uomo che si è occupato della Banca Popolare di Bari, dell’Ilva, poi di mascherine, di vaccinazioni. O ha poteri sovrannaturali oppure, ed è più probabile, è assai sovraccarico e come tutti gli esseri umani rischia di fare pasticci. Ci sono state impreparazione e approssimazione, non si capisce perché questo governo abbia puntato tutto su questa persona con i risultati che si sono poi visti. Anche il rapporto con l’Europa ha segnato il passo: ci siamo ritrovati indietro rispetto ad altri paesi che hanno contrattato privatamente i vaccini come UK e Germania.

 

E ora le nostre speranze risiedono nella campagna vaccinale?
Sì e per fortuna è gestita dalle regioni. C’è un problema serio di approvvigionamento e, me lo consenta, di autarchia. Come forse si sa, se venissero a mancare gli eccipienti farmaceutici avremmo 5 mesi di autonomia. Non abbiamo poi più siti di produzione vaccinale in Italia e noi pensiamo che serva invece l’industria farmaceutica di stato; penso al polo di Firenze che è un’eccellenza e ritengo che vada sostenuta parallelamente l’industria farmaceutica italiana che è la prima d’Europa.

 

Un consiglio, dai banchi dell’opposizione, al governo Draghi.
Il consiglio è quello di fare gli interessi dell’Italia, lo diciamo da patrioti. Sosterremo, pur senza dare la fiducia, tutte le sue iniziative di interesse nazionale.

 

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