EPA/JUAN CARLOS TORREJON

Cattivi scienziati

Lancet non basta

Enrico Bucci

Il vaccino russo Sputnik deve passare dall’Ema per essere approvato. Ed è giusto così

Per fortuna, i cittadini di tutte le nazioni europee possono contare durante la pandemia su istituzioni solidissime quando si tratta di prendere decisioni che riguardano la loro salute. In questi ultimi giorni, dopo una pubblicazione su Lancet (con molti difetti, ma questa è una storia diversa), si sono levate diverse voci di governatori, di politici (anche fuori dall’Italia) e di qualche scienziato a invocare la fornitura del vaccino russo Sputnik.

     

  

I lettori di questa rubrica ricorderanno come, più volte, ho ribadito sia il concetto che una pubblicazione scientifica rappresenta non la fine, ma l’inizio della verifica dei dati da parte della comunità scientifica, sia soprattutto che sono le agenzie regolatorie e le istituzioni ad avere il compito di giudicare se un dato trattamento è efficace e sicuro a sufficienza per una approvazione di uso da parte del pubblico. “E’ pubblicato su Lancet” non vuol dir nulla, tranne che è possibile giudicare se i risultati ottenuti da un gruppo di ricerca supportano certe conclusioni, come due o tre revisori anonimi esperti credono che sia (meccanismo che comunque elimina molta inutile spazzatura); ma quando, come nel caso di Sputnik o della clorochina, non si può accedere ai dati originali, allora anche la pubblicazione su The Lancet è inutile e può essere fuorviante.

 

A ribadire questo concetto sono giunte ieri le parole della presidentessa della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ha voluto chiarire quale sia la posizione delle istituzioni dell’Unione sul vaccino Sputnik. Il produttore “non ha chiesto l’autorizzazione a Ema finora. Se lo farà, dovrà presentare tutti i dati e sottoporsi allo scrutinio come gli altri".

 

Quando il New Yorker chiese allo scienziato russo a capo dello sviluppo del vaccino Sputnik, Denis Logunov, come mai non si fosse concesso l’accesso ai dati originali della sperimentazione ai ricercatori di tutto il mondo che ne avevano fatto richiesta, costui rispose che fornire l’accesso ai dati a chiunque lo richiedesse sarebbe stata una distrazione. “Ci sono sette miliardi di persone sulla terra, ed è impossibile mostrare ogni punto sperimentale a tutti”. Così ha detto, per giustificare non solo il diniego, ma persino la mancata risposta alle richieste di accesso ai dati provenienti non dall’uomo della strada (che pure, se volesse, ne avrebbe diritto), ma dai colleghi di Stati Uniti, Germania, Italia, Francia, Svezia, persino Russia, e dalle prestigiose istituzioni ove questi lavorano.

 

Adesso ci ha pensato la Von der Leyen a mettere le cose in chiaro: la procedura di valutazione di un vaccino si basa sull’accesso ai dati, sulle risposte alle domande critiche, persino sulle ispezioni ai siti di produzione, visto che per garantire la qualità non bastano le chiacchiere. E mentre ribadiva questi concetti, annunciava la chiusura di un accordo per altri 300 milioni di dosi del vaccino di Moderna, controllato e approvato da Ema sulla base dei dati forniti, e già disponibile anche in Italia.

 

Ora io chiedo: chi garantisce di più il cittadino, la politica dell’ungherese Orbán, che pur di dimostrare alla sua nazione il suo efficientismo ha autorizzato non si sa bene sulla base di quali dati l’acquisto e l’uso del vaccino Sputnik, oppure la procedura fondata su metodi trasparenti e chiari di revisione da parte di Ema, supportata nelle sue indicazioni dalla Commissione europea? “In God we trust, all others must bring data”.

 

 

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