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I nostri dodici mesi di pandemia

Agostino Miozzo

Un anno fa, il 7 febbraio, si riuniva per la prima volta il Comitato tecnico scientifico, chiamato a dare un supporto al governo nell’emergenza perfetta di Covid-19. In esclusiva, il diario del suo coordinatore

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La storia dell’evoluzione della pandemia di Covid-19 è nota, con il corredo di informazioni che dalla Cina hanno di giorno in giorno allertato il mondo intero, sino alla scoperta dei casi di positività dei due turisti cinesi a Roma e del primo caso di Covid autoctono a Codogno. 

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La storia dell’evoluzione della pandemia di Covid-19 è nota, con il corredo di informazioni che dalla Cina hanno di giorno in giorno allertato il mondo intero, sino alla scoperta dei casi di positività dei due turisti cinesi a Roma e del primo caso di Covid autoctono a Codogno. 

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Il 31 gennaio 2020 il governo italiano ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale e il 3 febbraio è stata istituito con ordinanza di Protezione civile il Comitato tecnico scientifico. Il Cts sarebbe stato l’organo di consulenza scientifica per il ministro della Salute, il presidente del Consiglio e, di fatto, per tutto il governo. Il Cts è costituito oggi da 25 membri, rappresentanti istituzioni scientifiche del paese; i membri del Cts lavorano “pro bono”. 


La prima riunione del Cts risale al 7 febbraio 2020, un anno fa ieri. Da quel giorno il nostro gruppo si è riunito 152 volte (nel box di pagina due, oltre all’ultimo bollettino disponibile sul Covid-19, alcuni numeri dell’attività del Cts, ndr).  


Un anno di intensa attività che ha visto i membri del Cts navigare sulle onde di un tremendo tsunami che ha travolto il nostro paese, decisamente impreparato (come peraltro tutti gli altri paesi occidentali) ad affrontare una simile emergenza. 

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Per l’Italia l’aggravante è che la pandemia ha impattato su un sistema sanitario che soffriva di anni di distrazione politica con gravi lacune nel settore della sanità pubblica, della medicina del territorio, della capacità di far fronte a grandi emergenze per le quali ben poco era stato predisposto nella totale assenza di cultura di gestione delle crisi. Covid-19 ha rappresentato l’emergenza perfetta, quello che l’ironica legge di Murphy, tanto amata dai protettori civili, descrive: se qualcosa può andar storto lo farà, nel momento peggiore possibile!


Covid-19 è un’emergenza per la quale non si avevano conoscenze, si navigava a vista con decisioni legate più all’esperienza e alla cultura degli esperti piuttosto che a una precisa conoscenza del nuovo nemico. E così è avvenuto con il Cts e con i suoi membri che nel corso delle tante settimane di lavoro hanno adattato le proprie indicazioni all’evoluzione della malattia e alle conoscenze degli effetti di quel virus che di giorno in giorno andava rappresentando tutta la sua gravità.


La lettura dei verbali del Cts illustra molto bene questa evoluzione “culturale” e gli orientamenti dati sui temi più vari cui siamo stati chiamati a esprimerci. 
Nessuno aveva mai previsto, nella storia del nostro sistema, la creazione di un team di esperti che potesse sostenere il lavoro del governo dando pareri tecnici che muovevano da analisi sul potenziale rischio dell’epidemia nel mondo della ristorazione, della scuola, dei trasporti, gli stabilimenti balneari, le corse ippiche, sale bingo piuttosto che le discoteche, i teatri e il mondo del cinema. La narrazione che ho di seguito elaborato è frutto della mia valutazione, non riflette quindi il parere del Cts. E’, in altri termini, una lettura personale della storia.


1° periodo: l’impatto dello tsunami che ci ha travolto


I primi mesi del nostro lavoro sono stati caratterizzati dalla difficoltà di orientare le difficili decisioni che il governo avrebbe dovuto prendere soprattutto per le chiusure di intere aree del territorio e per l’applicazione di quel lockdown di cui non esistevano precedenti cui riferirci; si aveva pertanto ben poca conoscenza circa le modalità esecutive e di controllo. 

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Al Cts eravamo convinti che l’isolamento della popolazione fosse l’unica vera potente arma per affrontare l’aumento della curva epidemica. Da qui sono derivate le decisioni di chiudere 11 comuni lombardi e un comune in Veneto fino al lockdown nazionale il 9 marzo. Nessuno aveva mai sperimentato il vero significato del lockdown, molti avevano memoria del significato del coprifuoco, ma ciò che doveva essere previsto dal lockdown lo abbiamo mutuato da quanto fatto dai cinesi a Wuhan. 

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Parallelamente a queste complesse valutazioni abbiamo dovuto governare una incredibile richiesta di pareri sulle forniture che servivano con estrema urgenza alle strutture sanitarie: Dpi, ventilatori e materiale sanitario specificamente destinato alla cura dei pazienti Covid; beni che non erano disponibili come riserva strategica nelle strutture sanitarie del territorio. 


La maggior parte di questo materiale proveniva dall’estero non avendo il mercato italiano questo tipo di produzione. Questa è stata una delle grandi difficoltà con cui ci siamo confrontati: giudicare, sulla base di documentazione cartacea spesso insufficiente, la bontà di forniture proposte in regime di estrema emergenza, in un mercato selvaggio dove una serie infinita di improvvisati mediatori dichiaravano improbabili disponibilità e connessioni con i produttori. Informazioni difficilmente verificabili in quel contesto.

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La guerra, e per noi la metafora militare è stata decisamente adeguata, alimenta tradizionalmente il mercato nero, quello dei trafficanti e degli avventurieri. Ed è stato con quel mercato che ci siamo dovuti confrontare nell’estrema urgenza di recuperare quelle forniture. 


La memoria collettiva ha rimosso velocemente quelle immagini, ma posso assicurare che non è facile scordare gli appelli disperati che di giorno e di notte ci arrivavano dalle strutture sanitarie dove pazienti, medici e infermieri si ammalavano e morivano in assenza di materiale di protezione. E’ difficile dimenticare le centinaia di telefonate di persone che in lacrime chiedevano mascherine, camici, guanti, bombole di ossigeno. 


E’ ben noto che la memoria rimuove i ricordi del dolore, è un processo di autodifesa per aiutarci a guardare oltre il periodo negativo. Per quelli che come molti di noi hanno vissuto in prima persona quelle dolorosissime e interminabili giornate la memoria però resta viva, impressa con immagini indelebili.


Importante è oggi ricordare che le istruzioni per contenere la pandemia sono state accettate di buon grado dalle autorità politiche e dalla popolazione. Stavamo, in quelle settimane, toccando con mano quanto avevamo visto in televisione di un mondo a noi lontano come la Cina, immagini che seguivamo con distacco probabilmente convinti che “quello che succede in Cina non ci toccherà; noi non possiamo imporre restrizioni come a Wuhan, noi viviamo una democrazia e non un regime totalitario, qui le libertà individuali sono sacre”. 


Le immagini dell’ospedale di Codogno e nei comuni lombardi e poi dei camion dell’esercito carichi di bare che andavano verso i crematori, hanno avuto un effetto devastante sulla consapevolezza collettiva di quello che stava accadendo in Italia. L’accettazione delle restrizioni in questa prima ondata è avvenuta senza problemi, vissuta peraltro con forme di ottimismo tipicamente mediterranee.


Anche la drastica decisione di chiudere tutte le scuole del paese è stata accolta senza particolari contestazioni data la motivazione condivisa dalla comunità internazionale che vedeva nelle scuole aperte una variabile negativa sull’indice di trasmissione dell’epidemia.  


Era a tutti evidente che il bene prezioso della salute doveva essere considerato prioritario rispetto a qualsiasi altro valore della nostra esistenza. Il mercato, il lavoro, l’economia non erano nemmeno messi a confronto alla priorità di tutelare la salute dei nostri concittadini. Lo Stato interveniva con sussidi che in qualche modo avevano convinto tutti, soprattutto le categorie non protette, di accettare quelle condizioni che sembravano doversi chiudere entro poche settimane.


2° periodo: l’estate e l’ora del “tana liberi tutti”


L’arrivo della primavera e i buoni dati che la curva epidemica rappresentava grazie al lockdown di due mesi in tutto il paese hanno consentito al sistema sanitario di vedere il ritorno a una sorta di normalità. Gli indici epidemici erano di fatto quasi azzerati, il fatidico Rt stabilmente sotto l’1, le terapie intensive si stavano lentamente svuotando e la situazione tornava alla normalità. 


Il Cts era molto occupato, in quel periodo, a fornire indicazioni sulle prospettive, dando costantemente segnali di prudenza e attenzione a non abbassare la guardia. Per alcuni settori come la scuola si è lavorato intensamente ben consapevoli che le richieste che facevamo avrebbero creato problemi al sistema scolastico in ragione dell’inadeguatezza in cui la scuola italiana si trovava al momento della crisi. Per noi imperative erano le indicazioni sul distanziamento di un metro, l’uso della mascherina, l’igiene delle mani. Elementi che tradotti in pratica volevano semplicemente dire ricercare nuovi spazi per accogliere gli alunni, recuperare nuovo personale, reperire la disponibilità di dieci milioni di mascherine al giorno, strutturare il sistema per mettere in sicurezza studenti, operatori e personale in servizio.
Le nostre richieste sul futuro della scuola spaziavano anche in settori come i trasporti e la sanità scolastica, difficilmente riorganizzabili in tempi brevi, a meno di una azione decisamente emergenziale che purtroppo non si è vista in gran parte del paese. 


L’estate incombente, la bella stagione e i dati epidemiologici hanno visto molti amministratori locali distratti rispetto alle raccomandazioni di prudenza e al grande lavoro fatto per offrire misure di sicurezza agli stabilimenti balneari, ai ristoranti, ai luoghi di villeggiatura. Le fotografie viste in estate sono esplicite del disastro annunciato: discoteche aperte nel pieno disprezzo delle raccomandazioni, folle straripanti nei luoghi di villeggiatura senza alcuna protezione né percezione del rischio. Il tutto condito da una narrazione di personalità del mondo della scienza che invitavano a riprenderci la vita dopo il doloroso lockdown di marzo e aprile.
I media e in particolare i social media, veri amplificatori comunicativi in questa emergenza planetaria, hanno fatto il resto e i risultati si sono ben visti a partire dalla fine di settembre in coincidenza con l’inizio delle scuole, il referendum e le elezioni regionali. 

 

3° periodo: la seconda ondata 

La curva epidemica in repentina risalita che abbiamo visto nei primi giorni di ottobre, con il relativo corredo di immagini di strutture sanitarie prese d’assalto da pazienti Covid, hanno imposto nuove restrizioni che hanno aperto una stagione di evidenza dell’impatto di quelle misure sull’economia del nostro paese.  
Anche nel nostro gruppo si è sviluppata la consapevolezza che la crisi non poteva essere osservata solo dal nostro osservatorio di professionisti della medicina. Molti altri fattori entravano in gioco, che nel primo periodo di restrizioni erano stati vissuti con maggior accettazione. 


L’impatto delle misure restrittive ha iniziato ad avere effetti devastanti con l’evidente aumento della povertà, un disagio sociale crescente e diffuso a numeri impressionanti della popolazione. Indici di sofferenza che ad esempio nella scuola evidenziava disturbi del comportamento in migliaia di giovani. In parallelo si è osservato un incremento della violenza intra domestica, di violenza sulle donne, aumento delle separazioni, un elevatissimo numero di tentati suicidi in età adolescenziale e suicidi in età adulta. 


Gli indicatori sociali in questo periodo sono andati progressivamente peggiorando con l’aumento di tutti quei dati preoccupanti sul disagio e sulla violenza. Il nostro lavoro si doveva quindi confrontare anche con questi elementi che imponevano una osservazione più mirata alla ricerca di soluzioni che rendessero compatibili la necessità di controllo della pandemia con la necessità di non azzerare la vita sociale e produttiva del paese. 


Ci siamo spesso dovuti confrontare con posizioni integraliste di esperti che invocavano un lockdown prolungato per arginare la pandemia, in fondo una soluzione “semplice” che protegge sempre da possibili contestazioni future in nome di quel fatidico “io l’avevo detto”. 


Suggerire pertanto indirizzi operativi è stata una scelta laboriosa e difficile; è stato predisposto un sistema complesso di monitoraggio con 21 indicatori che davano origine a una valutazione che portava a sua volta alla creazione di aree a diversi livelli di rischio con le regioni “a colori” ove erano previste restrizioni più o meno severe in rapporto all’incidenza e alla diffusione del virus e all’impatto sui sistemi sanitari. La storia dirà se le soluzioni adottate sono state corrette, il confronto con altre realtà europee per il momento ci ha dato ragione.


Il terzo periodo ha visto scelte dolorose che si sono infine concretizzate con i divieti imposti per le festività natalizie, vissuti con molta insofferenza anche se la popolazione nel complesso ha rispettato le indicazioni. 

 

4° periodo: la speranza del vaccino


L’inizio del nuovo anno ha visto il paese in grande fermento, istanze sociali che chiedevano con forza il ritorno alla normalità essendo oggi più che mai evidente che interi settori della nostra vita produttiva, milioni di imprese, rischiano di scomparire se non vengono adottate formule di avvicinamento al ritorno alla normalità. 
Tutto ciò accade mentre è in corso la più grande campagna vaccinale della storia, vissuta con tante speranze in ragione delle annunciate disponibilità di vaccini, che però vengono quotidianamente smentite da ripetute correzioni circa la disponibilità reale da parte delle industrie farmaceutiche. 


Il tutto accade mentre si affaccia la prospettiva terribile delle varianti del virus di cui si sa ancora molto poco e soprattutto poco conosciuta è l’efficacia dei vaccini su queste nuove presentazioni virali.


Il Cts è oggi chiamato a ricercare formule di controllo dell’epidemia la cui curva sembra rialzare la testa mentre le categorie produttive del paese invocano le aperture di ristoranti, cinema e teatri, delle attività sportive e di tutti quei settori messi in lunga quarantena a causa della pandemia. 


Il Cts deve affrontare ancora oggi la ricerca di risposte a dilemmi drammatici rappresentati dal pericolo incombente di una nuova violenta ondata dell’epidemia, con la consapevolezza che se ciò accadesse metterebbe definitivamente in ginocchio il paese. Il tutto nel mezzo di un’altrettanto grave crisi politica nazionale. 


5° periodo: il prossimo futuro

Mi auguro una rapida stabilizzazione della crisi politica che possa portare certezza nelle relazioni istituzionali e nella capacità di orientare le decisioni operative per il prossimo futuro.


Auspico la possibilità di garantire assistenza sanitaria a tutti i cittadini del nostro paese riducendo le diseguaglianze troppo evidenti tra le regioni.
Auspico il ritorno a scuola in presenza e in sicurezza di tutti gli studenti del nostro paese.


Auspico il pieno ritorno in attività del sistema nazionale di Protezione civile, che nel corso dell’intera pandemia non ha svolto la funzione che istituzionalmente gli è propria. Se questo avverrà allora saremo in grado di attivare adeguatamente il sistema paese, unica possibilità per impostare un vero piano straordinario di vaccinazioni. 


Se tutto ciò sarà possibile vedremo presto la luce in fondo al tunnel.

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