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Meglio un vaccino certo oggi di un possibile “vaccino autoctono” domani

Luciano Capone

Altri forti dubbi della comunità scientifica sull’operazione Invitalia-ReiThera, sul conflitto d'interessi di Arcuri e di Magrini (Aifa). Perché puntare sul "vaccino Invitaliano", allungando i tempi, quando si possono produrre quelli già approvati?

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Evidentemente le risposte alle domande poste insieme a Enrico Bucci sul Foglio sull’operazione Invitalia-ReiThera per lo sviluppo e la produzione di un “vaccino autoctono” date dai protagonisti – Domenico Arcuri (commissario all’emergenza e amministratore delegato di Invitalia), Antonella Folgori (presidente di ReiThera), Giuseppe Ippolito (direttore scientifico dello Spallanzani) e Nicola Magrini (direttore generale dell’Aifa) – non sono state convincenti se, dopo averle lette, hanno spinto l’associazione Luca Coscioni a chiedere al governo di “risolvere immediatamente il conflitto d’interessi” di Arcuri: “O il ruolo da Commissario al piano vaccinale o amministratore delegato di Invitalia”. 

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Evidentemente le risposte alle domande poste insieme a Enrico Bucci sul Foglio sull’operazione Invitalia-ReiThera per lo sviluppo e la produzione di un “vaccino autoctono” date dai protagonisti – Domenico Arcuri (commissario all’emergenza e amministratore delegato di Invitalia), Antonella Folgori (presidente di ReiThera), Giuseppe Ippolito (direttore scientifico dello Spallanzani) e Nicola Magrini (direttore generale dell’Aifa) – non sono state convincenti se, dopo averle lette, hanno spinto l’associazione Luca Coscioni a chiedere al governo di “risolvere immediatamente il conflitto d’interessi” di Arcuri: “O il ruolo da Commissario al piano vaccinale o amministratore delegato di Invitalia”. 

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Critiche analoghe sono arrivate dal “Patto trasversale per la scienza” per la commistione di ruoli e interessi: “Non è accettabile che una singola persona assommi a sé, quale a.d., la decisione di investire i finanziamenti di Invitalia in un’azienda che ha in sviluppo un candidato vaccino per poi valutare l’acquisto e fornitura dello stesso vaccino per lo stato nella veste di Commissario per l’emergenza Covid”. Oltre ad Arcuri, il gruppo di scienziati, ha avuto parole dure anche per il dg di Aifa Magrini: “Non è accettabile che i vertici di Aifa siano coinvolti nella presentazione di dati preliminari assieme al management dell’azienda che li ha prodotti, invece di astenersi da dichiarazioni che non siano quelle conseguenti alla richiesta di un parere ufficiale di Aifa al momento opportuno”. Seri dubbi sul progetto scientifico-industriale sono stati espressi anche da singoli affermati scienziati, come il virologo Roberto Burioni: “Siccome non si riescono ad avere abbastanza dosi di due vaccini estremamente efficaci e sicuri, invece di potenziarne la produzione il nostro stato decide di provare a mettere a punto un nuovo vaccino, che non si capisce neanche come verrà sperimentato. A me pare una follia”. Anche l’infettivologo Massimo Galli, sul Fatto quotidiano, è scettico: “E’ molto difficile pensare di poter puntare sul cosiddetto vaccino italiano ReiThera, perché l’arrivo in fase 3 a questo punto pone anche un problema molto serio di natura etica: come sarà possibile chiedere alle persone di accettare da volontari il placebo in un momento in cui due vaccini validi esistono già, Pfizer e Moderna?”. Su la Stampa l’immunologa Antonella Viola scrive che “Si fa davvero fatica a comprendere cosa spinga la nostra classe dirigente a manifestare un entusiasmo, in termini di dichiarazioni e ingente impegno economico, che sembra basato su motivazioni scientifiche tutt’altro che solide”.

 

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Tralasciando le questioni scientifiche, su cui la comunità fa anche fatica ad esprimersi perché non esistono dati ma solo una conferenza stampa, bisogna ragionare anche sull’operazione industriale. L’idea di Arcuri alla base del “vaccino Invitaliano”, da lui definito “autoctono”, è quella di raggiungere – come accaduto per la produzione di mascherine – “una qualche indipendenza nella dotazione di vaccini”. Vista la situazione di scarsità di vaccini, si tratta di certo di un obiettivo giusto, che però non andrebbe declinato in termini nazionalistici: bisogna aumentare la capacità produttiva in tutta Europa. Ma se questo è l’obiettivo, quello scelto è il mezzo adeguato? Se tutto dovesse andare per il verso giusto il vaccino di ReiThera che è in fase 1, sarà pronto in autunno. Ma i vaccini servono ora. Dato che ci sono già dei vaccini approvati molto efficaci, e altri ne stanno arrivando, e dato che la tecnologia di ReiThera (gli adenovirus di scimmia) è la stessa di un vaccino già approvato come quello di AstraZeneca, che senso ha aspettare mesi per un’incerta sperimentazione che, se va bene, può concludersi a campagna vaccinale già terminata? Non avrebbe più senso mettersi a produrre il vaccino di AstraZeneca? La multinazionale sta avendo problemi di produzione e il contratto con l’Unione europea, appena pubblicato, prevede proprio che la Commissione e gli stati membri possano indicare stabilimenti nell’Ue in grado di aumentare la capacità produttiva. Non sarà “autoctono”, ma agli italiani il vaccino serve efficace. Adesso.

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