cattivi scienziati

Evidenze vaccinali

Bucci, Cossarizza, Sbardella, Viola*

Rinviare il richiamo? Atteniamoci ai fatti e agli studi. Risposta alle buone intuizioni di Remuzzi

Ieri un interessante scritto del prof. Remuzzi, apparso sulla stampa nazionale, invitava a riflettere sulla possibilità di andare oltre quanto acquisito finora in sperimentazioni controllate sui vaccini, ritardando la somministrazione della dose di richiamo molto oltre il tempo specificato nei protocolli attuali. In supporto, il professore presentava alcune sue considerazioni, per poi affermare quanto segue: “Tutto questo, come potete immaginare, alle autorità regolatorie non basta. Secondo loro finché non ci saranno studi controllati che comparano formalmente un richiamo fatto subito o rimandato di qualche mese, si deve continuare a vaccinare come propone l’industria ‘perché gli studi sono fatti così’”.

   

Accogliendo l’invito alla riflessione, vorremmo partire proprio da questa ultima frase, che chiaramente tende a dare l’immagine di insopportabili veti dalle agenzie regolatorie, aggrappate ai dati delle prove cliniche formali, quasi esse fossero per propria rigidità burocratica incapaci di venire incontro al buon senso dei medici e in aiuto dei cittadini, che potrebbero vaccinarsi in maggior numero.

  

In realtà, come il professore sa bene, l’unica difesa della popolazione dallo sperimentare clamorosi fallimenti o, peggio, pesanti danni dalla somministrazione di farmaci sperimentali, consiste nell’attenersi a quello che si sa su base statistica rigorosa, e non nel tentare di improvvisare nuovi protocolli basandosi su ipotesi – per quanto queste possano apparire ragionevoli. Da chi, per esempio nel caso Stamina, è stato un baluardo contro la somministrazione improvvisata di trattamenti al di fuori di quanto rigorosamente definito dalla sperimentazione clinica e di quanto valutato dalle agenzie regolatorie, ci aspetteremmo tutto, fuorché il rinnegare in nome dell’emergenza proprio quel rigore, che poi non consiste altro che nel buon senso di non lanciare protocolli su larga scala, andando oltre quanto appreso su base statistica in scala minore.

   

Peraltro, a prescindere dalle considerazioni di ordine generale, vale la pena ricordare che oltre ai dati favorevoli che originano dal Regno Unito – i quali hanno indotto le autorità di quel paese a intraprendere una strada peraltro messa in dubbio da almeno una parte della sua comunità scientifica – esiste pure una serie di altri fatti che inducono a una molto maggiore cautela.

   

Fra questi, basta ricordare le percentuali di copertura dopo una sola dose di vaccino misurate nella ampia campagna di vaccinazione israeliana, che contraddicono quanto si afferma in Inghilterra (sulla base di ipotesi, non di fatti, ricordiamolo); ed è curioso che lo stesso Evans citato da Remuzzi, che vorrebbe muoversi con poca evidenza nel ritardare la dose vaccinale, di fronte ai dati provenienti da Israele affermi invece che serve maggior rigore, accuratezza e, tutto sommato, maggior certezza sperimentale, indebolendo così la sua stessa argomentazione.

   

Se poi invece dei fatti – che mancano – si volesse stare alla parola degli esperti, sarebbe il caso di riportare non solo la parola degli inglesi favorevoli al ritardo come Evans (inglesi che, peraltro, non sembrano essere dei modelli in fatto di previsioni e di contenimento dell’epidemia), ma anche quella di scienziati contrari in tutto il resto del mondo, come Anthony Fauci, che dagli Stati Uniti ha affermato di non essere affatto d’accordo con il ritardo della seconda dose di vaccino. O come il nostro Alberto Mantovani, che ad “Agorà” di Rai 3 pochi giorni fa ha affermato che i tempi tra le dosi del vaccino vanno rispettati, perché in caso contrario si rischia di compromettere l’intera campagna vaccinale.

  

Se anche non si fosse d’accordo con Fauci e con Mantovani, riteniamo che la disparità di opinione è esattamente la ragione per cui bisogna rimettersi ai fatti, cioè agli studi controllati: la medicina basata sulle evidenze non può essere abbandonata, neppure per nobili fini, perché la strada per l’inferno è lastricata di buone intuizioni cliniche.

  

*Enrico Bucci, biochimico, Temple University

Andrea Cossarizza, immunologo, Università di Modena e Reggio

Gianluca Sbardella, chimico farmaceutico, Università di Salerno

Antonella Viola, immunologa, Università di Padova

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