(foto LaPresse)

Gli effetti indesiderati degli incentivi monetari per la vaccinazione

Matteo Motterlini e Piero Ronzani*

Un bonus rischia di demotivare di chi si vaccina contro il Covid, ma a determinate condizioni può funzionare

Raggiungere in tempi stretti un’ampia copertura vaccinale è la sfida pressante per il ritorno alla normalità. Alle preoccupazioni sugli aspetti logistici di questa complessa operazione, si aggiungono i dubbi sulla reale intenzione degli italiani di vaccinarsi. Un sondaggio del 14 dicembre  realizzato da Emg-Different/Adnkronos rivela che il 19 per cento degli italiani non vorrebbe vaccinarsi, il 77 per cento sarebbe favorevole,  e il 56 per cento dei favorevoli preferirebbe aspettare alcuni mesi. Non sorprende quindi che a pochi giorni dalla somministrazione dei primi vaccini anti Covid-19 si sia acceso il dibattito su quale sia la strategia migliore per promuovere la vaccinazione tra gli scettici. 

 

Luciano Capone sulle pagine del Foglio ha suggerito provocatoriamente la possibilità di utilizzare un incentivo monetario per promuovere l’immunizzazione di massa: rispetto a cashback e monopattini, molto meglio un bonus vaccinazione di 100 euro a testa per uscire velocemente dalla pandemia e salvare così anche la nostra economia. C’è chi, come il candidato democratico alle scorse primarie per la presidenza Usa,  John Delaney, è arrivato a proporre un super-bonus di 1.500 dollari da ricevere a vaccinazione avvenuta. Va detto che non mancano casi di interventi pubblici basati su incentivi economici che hanno avuto successo nel promuovere comportamenti ad alta valenza sociale. Tra questi, il programma “Progresa” in Messico è diventato un caso esemplare dell’utilizzo oculato degli incentivi per contrastare la dispersione scolastica e promuovere lo sviluppo economico tra le famiglie povere. Ogni famiglia, a condizione che i figli frequentassero regolarmente la scuola, riceveva una somma mensile di 55 dollari americani, pari a un quinto del loro reddito medio. Le ricadute positive a distanza di anni sono impressionanti: i ragazzi delle famiglie coinvolte, oltre ad aver completato gli studi in misura maggiore rispetto al gruppo di controllo, hanno successivamente ottenuto migliori posizioni lavorative e stipendi più alti; l’effetto positivo è ancora più marcato per le donne.

 

Eppure le scienze comportamentali ci mettono in guardia sull’efficacia di tali incentivi in tutte le circostanze. Uri Gneezy della University of California ha mostrato che gli incentivi monetari innescano due effetti distinti che possono facilmente entrare in conflitto: dal lato puramente economico l’opzione incentivata risulta più appetibile; dal lato  psicologico, invece, i beneficiari della somma di denaro risultano demotivati. Si parla di motivazione intrinseca quando si è spinti a compiere un’azione in virtù del fatto che la si ritiene giusta o gratificante di per sé, a prescindere da rinforzi esterni. Per esempio, alzarsi all’alba per una corsa salutare è una azione che compiamo per il benessere che ci procura. Se ci pagassero per farlo, non è detto che lo faremmo di più. Anzi, vari studi indicano che gli incentivi monetari agiscono spesso negativamente sulla motivazione, prendendo il posto delle ragioni intrinseche per compiere quella determinata azione. Si parla pertanto di “effetto spiazzamento” (crowding out effect) là dove l’efficacia di un incentivo monetario viene vanificata dal suo impatto sulla motivazione intrinseca verso il comportamento desiderato. L’effetto spiazzamento è particolarmente frequente nei contesti in cui la fiducia è un elemento cruciale nella scelta, che è esattamente il caso dell’intenzione di vaccinarsi: qui in gioco vi è la fiducia dei cittadini verso la ricerca scientifica, il sistema sanitario e la politica. Una fiducia che si regge su un equilibrio molto delicato, che può facilmente risentire di incentivi monetari mal progettati, qualora finiscano per insinuare dubbi sul reale intento delle istituzioni scientifico-sanitarie. Un recentissimo studio su Nature Medicine rivela infatti che, a prescindere dalla nazionalità, chi si dichiara scettico sull’operato del governo è anche meno propenso a vaccinarsi per il Covid-19.   

 

Al netto di queste considerazioni, gli incentivi monetari potrebbero nondimeno essere buoni alleati per un’altra sfida concomitante: contrastare la naturale tendenza delle persone a non tener fede alle decisioni prese. Il vaccino Pfizer e quello di Moderna prevedono un richiamo a settimane di distanza. Per assicurarsi che chi si vaccina la prima volta torni anche la seconda, gli incentivi monetari potrebbero risultare estremamente efficaci. L’incentivo andrebbe prontamente elargito a chi effettua il richiamo nei tempi stabiliti. I premi Nobel per l’economia Esther Duflo e Abhijit Banerjee, in uno studio sulla vaccinazione generica su larga scala, hanno mostrato che la promessa di una piccolo incentivo può ridurre la tendenza a procrastinare, aumentando il tasso di immunizzazione dal 18 per cento al 39 per cento, abbattendo i costi della campagna vaccinale al punto da ripagare l’incentivo. Si noti inoltre che un incentivo di questo tipo potrebbe difficilmente generare un effetto spiazzamento, poiché rivolto a soggetti che hanno già deciso di vaccinarsi. 

 

Non esiste dunque una ricetta semplice e valida in tutte le circostanze per quanto riguarda gli incentivi monetari. Per capire quale direzione intraprendere non possiamo esimerci da un approccio sperimentale: come si deve ricorrere a rigorosi trial clinici per testare l’efficacia di un nuovo vaccino, così dovremmo affidarci sistematicamente alla sperimentazione per studiare gli effetti caso per caso di un determinato intervento volto a promuovere il benessere pubblico. Al momento, gli elementi a nostra disposizione pendono complessivamente a sfavore dell’impiego di incentivi monetari per promuovere la vaccinazione – se non nel senso specifico che abbiamo suggerito. Incentivi di questo tipo rischierebbero di interferire con la motivazione intrinseca a vaccinarsi (faccio la cosa giusta proteggendo me stesso, i miei cari e la mia comunità), minando il delicato rapporto di fiducia tra cittadini, comunità scientifica e istituzioni. 

 

*Centro di ricerca di Epistemologia sperimentale e applicata (Cresa), Università Vita-Salute San Raffaele

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