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“L’Italia avrà oltre 200 milioni di dosi. Resistiamo”, dice Palù (Aifa)

Annalisa Chirico

“Sono ottimista, avremo dosi per 100 milioni di italiani. Il virus manipolato in laboratorio? Non lo sapremo mai”. Parla il neopresidente dell'Agenzia italiana del farmaco

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Da appena un mese il professore Giorgio Palù, tra i massimi virologi a livello mondiale, è il nuovo presidente dell’Agenzia italiana del farmaco che ha autorizzato l’immissione in commercio del primo vaccino anti Covid. In una conversazione su Skype, gli chiediamo anzitutto che tempi avrà la campagna vaccinale simboleggiata dalla primula rossa. “Resto ai tempi ufficiali disegnati dal ministro della Salute Speranza e dal commissario Arcuri – risponde Palù – Si prevede che entro settembre si saranno concluse tutte le fasi di approvvigionamento, distribuzione e somministrazione raggiungendo una immunità di gregge intorno al 70 per cento”.  

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Da appena un mese il professore Giorgio Palù, tra i massimi virologi a livello mondiale, è il nuovo presidente dell’Agenzia italiana del farmaco che ha autorizzato l’immissione in commercio del primo vaccino anti Covid. In una conversazione su Skype, gli chiediamo anzitutto che tempi avrà la campagna vaccinale simboleggiata dalla primula rossa. “Resto ai tempi ufficiali disegnati dal ministro della Salute Speranza e dal commissario Arcuri – risponde Palù – Si prevede che entro settembre si saranno concluse tutte le fasi di approvvigionamento, distribuzione e somministrazione raggiungendo una immunità di gregge intorno al 70 per cento”.  

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La Germania ha acquistato 30 milioni di dosi fuori dall’accordo definito dalla Commissione di Bruxelles, e in occasione del Vaccine day si è procurata 156 mila dosi a fronte delle 9.750 messe a disposizione di ciascun paese europeo, Italia inclusa. “Quello che posso dire – prosegue Palù – è che il ministro Speranza si è assicurato oltre duecento milioni di dosi, vale a dire, considerando la dose di richiamo, un quantitativo sufficiente per cento milioni di italiani. E’ chiaro che la Germania è un paese più ‘vocale’, si fa sentire di più, e poi vanta 90 milioni di abitanti. Non commenterei oltre”.

 

In passato lei ha evidenziato che circa il 95 per cento dei positivi risulta asintomatico o paucisintomatico. Lo conferma? “Gran parte delle persone contagiate non ha alcun sintomo o avverte, al massimo, un leggero aumento della temperatura, qualche colpo di tosse e mal di gola, lo dicono poi tutte le statistiche. Senza un tracciamento adeguato e studi aggiornati di sieroprevalenza che ci diano una misura esatta della circolazione del virus e dei tassi di morbosità e letalità, è più complicato avere una stima attendibile: dovremmo inoltre effettuare più tamponi e avere tempi di risposta più rapidi. La stessa ‘variante britannica’ è stata individuata in soggetti asintomatici, dunque l’assenza di sintomi è una caratteristica intrinseca al Sars-CoV-2”.

 

Lei si è spiegato perché si possa dire “variante britannica” e non “virus cinese”? “Francamente non lo capisco, che questo virus sia cinese ce lo hanno detto i cinesi lo scorso gennaio e, ancor prima, il dottore Li Wenliang che lanciò l’allarme a Wuhan già nel tardo autunno del 2019. Il politically correct non mi appassiona: l’origine di questo virus è certamente cinese”. Covid-19 è nato in laboratorio? “Da virologo posso dire che non sapremo mai se il virus sia naturale o abbia subìto manipolazioni artificiali. Oggigiorno è possibile alterarne il genoma con forbici molecolari senza lasciare traccia, ma basta anche mantenere a lungo il virus in colture cellulari per selezionare nuove mutazioni. Ogni ipotesi resta sul tappeto”. Che previsioni fa sul tasso di adesione alla campagna di vaccinazione? “Mai nella storia della medicina un vaccino è stato realizzato in tempi così ristretti: si è accelerato senza nulla trascurare o concedere alla rigorosa osservanza di tutti i criteri per garantirne la sicurezza. Mai come questa volta il desiderio di vaccinarsi è grande, lo abbiamo visto con la domanda di vaccino antinfluenzale, perciò penso che raggiungeremo tranquillamente l’immunità di gregge”.

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Nel governo si registrano divergenze sull’obbligo vaccinale per il pubblico impiego. Lei che pensa? “Lascerei la scelta ai giuristi ma vorrei ricordare due elementi: l’obbligo vaccinale esiste già per i bambini sulla base dei rischi accertati per la comunità di certe malattie e per tutelare la salute di persone ancora non autosufficienti per decidere se vaccinarsi o meno; in secondo luogo, in paesi come gli Stati Uniti non puoi lavorare in ospedale se non certifichi la vaccinazione. Immagino che, con un po’ di buon senso, la questione si risolverà richiedendo la vaccinazione per chi svolge una professione sanitaria o di servizio pubblico, pena l’esclusione dall’attività”. Il vaccino funziona sulla variante britannica? “Finora tutti i vaccini testati sono risultati efficaci contro le numerose varianti del Covid e non esistono dati clinici da cui risulti che quella inglese non sia neutralizzata. Abbiamo la fortuna di potere contare su una tecnologia così duttile che nel giro di una o due settimane potremo produrre un nuovo vaccino o usare miscele di anticorpi neutralizzanti”.

 

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Quanto dura l’immunizzazione? “La biologia del Sars-CoV-2 la conosciamo soltanto dallo scorso gennaio. Si presume che la risposta immunitaria durerà da nove a dodici mesi ma molte cose le impareremo sul campo”. E che mi dice degli anticorpi monoclonali, autorizzati dall’Fda statunitense e utilizzati anche per Donald Trump? Quando potremo impiegarli in Italia? “I monoclonali sono un medicinale che viene somministrato contro un’infezione già in atto, il vaccino serve invece a prevenirla. L’Aifa è aperta ad avviare uno studio controllato, saranno un’arma importante se si confermeranno i dati di efficacia sinora pubblicati. L’Fda li ha autorizzati in via emergenziale, in attesa del parere dell’Ema potremmo avviare la sperimentazione con vari tipi di monoclonali”. Lei è anche consulente della regione Veneto, prima della classe per tamponi e tracciamento, eppure sul banco degli imputati per una nuova recrudescenza del virus. “Confermo che il Veneto è ancora la prima della classe, in quanto somministra circa 60 mila tamponi al giorno di cui 15 mila sono molecolari e i restanti antigienici rapidi. Secondo i parametri vigenti, il tasso d’infezione è calcolato soltanto sui tamponi molecolari ma, se si contabilizzassero tutti i tamponi, l’incidenza dell’infezione scenderebbe in Veneto al 7 per cento, vale a dire sotto la media nazionale del 12 per cento, nondimeno l’incidenza cumulativa rimane alta in Veneto, oltre 500 casi per 100.000 abitanti”. 

 

 

Resta il problema dei ricoverati in crescita. “Siamo al livello di marzo/aprile. La regione ha però raddoppiato le degenze nelle rianimazioni. I decessi sono circa 6 mila ma altre regioni, come Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna, hanno numeri più alti”. Lei, una volta, ha detto: “Si rischia di morire di lockdown, fame e chiusure più che di Covid”. Ripeterebbe tali affermazioni? “La mia era una esemplificazione paradossale, parlavo da privato cittadino e non smentisco tali affermazioni. Era infatti facile constatare che insieme al rischio Covid ci fosse anche il rischio di generare povertà e perdita culturale, di privare intere generazioni del diritto alla conoscenza, con un pil in caduta verticale non si potrebbero garantire né salute né ricerca. Si calcola che circa il 35 percento delle piccole e medie imprese non riapriranno, ma sulle pmi si è fondato il miracolo economico italiano. Anche per questa ragione guardo con entusiasmo al vaccino: è un successo della scienza. Le pandemie più gravi nella storia umana, come il vaiolo o la peste, che sterminavano metà della popolazione e azzeravano intere dinastie regnanti, duravano al massimo un paio di anni. Dobbiamo resistere guardando con ottimismo al futuro”.

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