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Il V-day e il nudge anti-casta di De Luca

Luciano Capone

Dopo che il presidente della Campania si è vaccinato di straforo al posto dei medici, sono spariti gli scettici. Per spingere gli italiani a vaccinarsi non bisogna fare leva sullo spirito civico ma sull’indignazione contro la "casta", il vero motore politico degli ultimi 10 anni

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Tra i gesti “simbolici” – è questo l’aggettivo più usato nella campagna di vaccinazione anti Covid – per spingere gli italiani a vaccinarsi, quello che può avere l’impatto più significativo, sicuramente maggiore rispetto alle primule, è l’immagine del presidente della Campania Vincenzo De Luca che con il braccio a favor di siringa annuncia sui social network: “Mi sono vaccinato”.

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Tra i gesti “simbolici” – è questo l’aggettivo più usato nella campagna di vaccinazione anti Covid – per spingere gli italiani a vaccinarsi, quello che può avere l’impatto più significativo, sicuramente maggiore rispetto alle primule, è l’immagine del presidente della Campania Vincenzo De Luca che con il braccio a favor di siringa annuncia sui social network: “Mi sono vaccinato”.

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A differenza delle immagini del presidente eletto americano Joe Biden, nel caso di De Luca se la sua vaccinazione fatta di straforo al posto di medici e infermieri farà scattare un effetto-leva nella popolazione non sarà per lo spirito di emulazione su cui puntano i leader politici nel mondo, ma sarà il prodotto di ciò che più di ogni altra cosa smuove le passioni degli italiani: l’invidia per la “casta”. D’altronde, se gli ultimi dieci anni ci hanno insegnato qualcosa – dal trionfo del M5s al successo di certi talk-show – questo è l’enorme potere mobilitante di tale sentimento. Pertanto, se un economista comportamentale volesse disegnare il giusto nudge per spingere gentilmente gli italiani a vaccinarsi, più che sullo spirito civico dovrebbe puntare sull’indignazione anti casta. È facendo leva su questa indole che partiti politici e fenomeni editoriali hanno attirato mandrie di lettori/elettori, facile quindi che possa funzionare per arrivare all’immunità del gregge. Per indurre le persone a vaccinarsi serve un po’ di psicologia inversa: il vaccino non andrebbe presentato come un diritto universale distribuito secondo criteri sanitari, ma come un privilegio esclusivo della casta: come un’auto blu o un vitalizio. Allora sì che tutti, indignati, lo pretenderebbero. Anche i più scettici.

 

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Una strategia del genere è stata utilizzata oltre un paio di secoli fa da Antoine-Augustin Parmentier per agevolare la diffusione della patata. All’epoca, il tubero non era usato nell’alimentazione perché ritenuto impuro (veniva sempre da sottoterra) e portatore di malattie come la lebbra. E pertanto veniva dato prevalentemente agli animali o ai prigionieri. Durante gli anni di detenzione nelle carceri prussiane in seguito alla Guerra dei Sette anni, Parmentier scoprì le qualità nutritive delle patate in un mondo che pativa la fame. Qualche anno dopo il farmacista francese vinse un concorso dell’accademia di Besançon sul migliore sostituto del grano in caso di carestia: la patata. Il mondo accademico era quasi convinto, ma la popolazione non voleva saperne di quel cibo del demonio. Allora Parmentier avviò una campagna pubblicitaria per favorire la diffusione della patata, coinvolgendo la Casa reale. Si mise a organizzare ricevimenti per nobili e ospiti illustri, da Benjamin Franklin ad Antoine Lavoisier, con degustazione di piatti a base di patate. Oppure fece in modo che il re Luigi XVI e la regina Maria Antonietta decorassero i propri abiti con fiori di patata, lanciando una nuova moda. Il colpo di genio di Parmentier fu però quello di convincere il re a coltivare a patate un terreno a Neuilly, ma con uno stratagemma: il campo di giorno era presidiato da guardie armate per mostrare al popolo il valore della coltivazione, ma le truppe venivano ritirate di notte per consentire alle persone di rubare le patate. Cosa che puntualmente accadeva: la gente era disposta a derubare per mangiare ciò che prima avrebbe forse dato solo ai maiali.

 

Qualcosa di analogo, si parva licet, è scattato con la vaccinazione di De Luca. Nei giorni che hanno preceduto il “Vaccine day” era frequente leggere nelle chat di parenti e amici messaggi e meme che suggerivano di “sperimentare” i vaccini prima “sui politici” invece che “sui medici” (metti che producono danni, ci liberiamo della “casta”). Quando poi il presidente della Campania si è fatto vaccinare, pur non rientrando nelle categorie a cui erano dedicate le prime dosi, nelle stesse chat si è ribaltato il tenore dei messaggi: a prevalere è lo sdegno per il politico arrogante che ha sottratto un vaccino salva-vita a un medico. Lo scetticismo sulla sicurezza e sull’efficacia del vaccino immediatamente scompaiono, l’indignazione anti casta fuga ogni dubbio. Forse non è un caso che l’avvio del programma di vaccinazione si chiami “V-day”: in un paese governato dal partito di Beppe Grillo, è attraverso il vaffa che si possono indurre le persone a vaccinarsi.

 

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