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Il foglio salute

Se Lombardia fa rima con pandemia

Fabio Massa

Come dare le colpe a una regione anche quando non ne ha. Un problema di reputazione. Perché il virus sta facendo ovunque simili disastri 

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Per parlare di reputazione in tempo di Covid, bisogna rispolverare una immortale (e un po’ banale) frase di Henry Ford, cambiandola un po’: “Le due cose più importanti non compaiono nel bilancio di una pandemia: la reputazione e gli uomini”. I numeri del Covid raccontano poco, visti dall’alto, senza intenti di revanche, di campanilismo, o politici. La verità è che tutto il mondo se la passa male, indipendentemente che ci siano gli ottimi riformisti di sinistra del governo Sanchez, il ragazzaccio di Downing Street, l’ex astro nascente Macron in Francia o Giuseppi Conte in Italia. Certo, c’è la Merkel che fa caso a sè: la Germania ha meno casi di tutti in relazione agli abitanti e solo 12 mila decessi con un incremento da seconda ondata di 20 mila al giorno. Ma gli altri non hanno performance apprezzabilmente diverse.

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Per parlare di reputazione in tempo di Covid, bisogna rispolverare una immortale (e un po’ banale) frase di Henry Ford, cambiandola un po’: “Le due cose più importanti non compaiono nel bilancio di una pandemia: la reputazione e gli uomini”. I numeri del Covid raccontano poco, visti dall’alto, senza intenti di revanche, di campanilismo, o politici. La verità è che tutto il mondo se la passa male, indipendentemente che ci siano gli ottimi riformisti di sinistra del governo Sanchez, il ragazzaccio di Downing Street, l’ex astro nascente Macron in Francia o Giuseppi Conte in Italia. Certo, c’è la Merkel che fa caso a sè: la Germania ha meno casi di tutti in relazione agli abitanti e solo 12 mila decessi con un incremento da seconda ondata di 20 mila al giorno. Ma gli altri non hanno performance apprezzabilmente diverse.

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In Spagna nuovo record di 55 mila casi il 2 novembre, un milione e 450 mila contagiati totali, 40 mila morti. In Francia picco di 86 mila nuovi casi al giorno, 43 mila decessi. In Gran Bretagna 33 mila in più al giorno e 51 mila decessi. Il piccolo Belgio è un disastro: 520 mila casi, 8 mila nuovi casi, 14 mila decessi. Poi c’è il modello Svezia, il modello no-mask: ha 171 mila casi, 6 mila decessi e una mini-seconda ondata di 4 mila al giorno. L’Italia, in tutto questo, è a 1,07 milioni di casi totali, con 43 mila decessi e ben oltre 30 mila casi al giorno. Mal comune, e tutti piangiamo i nostri morti. Di gaudio non ne è rimasto. Neppure di politiche che funzionano, a parte santa Merkel (ma è il sistema Germania che funziona, e non può essere replicato in un mese, ovviamente).

 

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Il virus corre, e corre dritto fregandosene di destra e sinistra. Il bilancio, come nell’industria di Ford, è quello. Da quello però spariscono gli uomini e la reputazione. In particolare, qui parleremo della reputazione della Lombardia. La Regione più colpita, colpita per prima, meno preparata perché aveva avviato una transizione dalla medicina di territorio (leggasi: medici di base) alla medicina ospedaliera per la gestione delle cronicità. Nella prima ondata i dati della Lombardia sono stati nettamente peggiori che nel resto d’Italia. Ma nella seconda? Nella seconda stiamo vedendo che una volta che il virus ha viaggiato per i territori, sta facendo ovunque disastri più o meno alla stessa maniera.

 

Ma allora perché su ogni giornale, ogni giorno, da mesi, la Lombardia è stata sotto il fuoco mediatico (e delle procure)? Fare un ragionamento solo e puramente politico (quello che un po’ semplicisticamente fanno anche certi leghisti al Pirellone e non solo) è fuorviante: la Lombardia non viene attaccata per difendere Giuseppe Conte, o la nuova-vecchia maggioranza pentastellati-democratici. O meglio, non solo per questo. Altrimenti anche il Veneto di Luca Zaia sarebbe sotto il fuoco, e non lo è. Anzi, è stato usato proprio in funzione anti-lombarda. Altrimenti anche la Liguria, e il Piemonte, e altre 12 regioni (la Lega ne controlla 15 su 20) sarebbero ogni giorno sulla graticola.

 

C’è qualcosa di più, e senza andare a scomodare le citazioni debortoliane (l’ex direttore del Corriere sostenne che c’era una sorta di invidia contro Milano, durante la prima ondata), di certo il coacervo di tossicità campanilistica c’entra eccome. Ma c’è di più. Attaccare la Lombardia, che ha sbagliato molto (questo è indubbio), a volte conviene. E’ un po’ come sparare sulla Croce Rossa: tutti sanno che la Lombardia disarmata non riuscirà a reagire. Per vari motivi, peraltro. Uno di questi è che il fuoco sulla sola Lombardia vuol dire che non c’è attacco sulle altre regioni. E la Lega ne ha 15, ripetiamo. E comunque l’idea che a pagare sia la prima della classe sfonda tra i banchi in seconda terza e quarta fila. Vero populismo. E allora è gioco facile, per esempio, dire che se in farmacia non trovi il vaccino, è colpa della Regione che non lo manda. La narrazione finisce là. Gallera – ormai afono – dice che la Regione non ha nessun obbligo di dare i vaccini anti influenzali ad aziende private, quali sono le farmacie. Ma allora perché mai le farmacie danno la colpa alla Regione? Perché è semplice, conveniente e soprattutto credibile. Anche se poi basta documentarsi un secondo e si scopre che è vero: la Regione (anzi, le Regioni) di vaccini alle farmacie non sono obbligati a darne.

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C’è poi la questione dei medici di base. Lo stato propone un accordo sui tamponi rapidi. In Lombardia uno su 10 dice sì al tampone rapido in studio o nei checkpoint. Gli altri nove dicono no. Però prima del no c’è un fuoco continuo perché mancano i dpi (lo stato dice che li ha mandati e la Regione distribuiti, ma vai a capire), perché non c’è sicurezza. E quindi quando si va a chiedere perché hanno detto no ai tamponi rapidi negli studi per evitare di fare lunghe code agli ospedali la risposta è “per evitare contagi”. La narrazione: è colpa di Regione Lombardia. La quale, a dirla tutta, di colpe sicuramente ne ha già abbastanza. Anche senza che altri la carichino ulteriormente.

 

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