PUBBLICITÁ

Così la sanità nel Lazio resiste alla seconda ondata

Gianluca De Rosa

I posti letto riservati al Covid potenziati, l'eccellenza dello Spallanzani, l'intensa attività di screening con 30 mila tamponi al giorno: così la regione è rimasta l'unico puntino giallo in un oceano di arancione

PUBBLICITÁ

Guardando la cartina stilizzata dello Stivale – a nord, a sud, a est e a ovest – non c’è praticamente uscita. Il Lazio è circondato: unico puntino giallo in un oceano d’arancione. È rimasto solo un pertugio in direzione Campobasso a ricordare che anche da altre parti c’è chi resiste. Nonostante negli ospedali non manchino le criticità e sebbene tanti continuino a lamentare le difficoltà nel fare il tampone le cose in Lazio vanno indubbiamente meglio che altrove. Ma com’è stato possibile? La tenuta della regione è un mix di fortuna e gestione lungimirante dell’epidemia.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Guardando la cartina stilizzata dello Stivale – a nord, a sud, a est e a ovest – non c’è praticamente uscita. Il Lazio è circondato: unico puntino giallo in un oceano d’arancione. È rimasto solo un pertugio in direzione Campobasso a ricordare che anche da altre parti c’è chi resiste. Nonostante negli ospedali non manchino le criticità e sebbene tanti continuino a lamentare le difficoltà nel fare il tampone le cose in Lazio vanno indubbiamente meglio che altrove. Ma com’è stato possibile? La tenuta della regione è un mix di fortuna e gestione lungimirante dell’epidemia.

PUBBLICITÁ

 

Nel Lazio, più specificatamente a Roma, sono presenti tra le strutture ospedaliere più grandi d’Europa (Umberto I e Gemelli innanzitutto). Questo ha permesso da un lato di tenere alti i tassi di ospedalizzazione (secondo la Regione diminuendo la letalità della malattia che è all’1,9 per cento rispetto al 6 della Lombardia, al 4 del Piemonte e al 2,6 della Toscana), dall’altro di convertire rapidamente interi reparti alla gestione dei malati di coronavirus: con due ordinanze sono stati potenziati i posti riservati al Covid negli ospedali laziali portandoli 4.409 per i ricoveri ordinari e a 901 per le terapie intensive.

 

PUBBLICITÁ

Tra le strutture sanitarie poi c’è anche un’eccellenza, l’istituto di malattie infettive Spallanzani, che oltre ad essere da subito stato convertito a Covid hospital, ha suggerito tecnicamente le scelte regionali, validando spesso strumenti e strategie. Non è un caso che spesso la Regione abbia anticipato buone prassi poi emulate a livello nazionale. Come ad esempio i Covid hotel lanciati per accogliere i dimessi dagli ospedali e che oggi offrono 800 posti letto, di cui quasi 200 attrezzati anche con l’ossigeno. O i test nei porti e negli aeroporti: a Fiumicino da agosto sono stati fatti 41mila test rapidi su passeggeri provenienti da zone a rischio, trovando 400 positivi. Il Lazio è anche tra le prime regioni ad aver introdotto l’obbligo della mascherina anche all’aperto e prima che la Protezione civile inviasse (due giorni fa) 50mila tamponi rapidi da affidare ai medici di base la Regione era già partita per conto suo con una sperimentazione.

 

La rete per i test, poi, è capillare: sono 64 i drive-in prenotabili dove nelle ultime settimane in tamponi eseguiti sono aumentati fino a raggiungere una media di quasi 30mila al giorno. In valore assoluto fa meglio solo la Lombardia che però al doppio degli abitanti. A fronte a un numero alto di tamponi la percentuale di positivi è piuttosto bassa: nelle ultime settimane tra l’8 e il 10 per cento rispetto a una media nazionale del 16. Recentemente su alcuni giornali la Regione è stata accusata di inserire nei dati anche i test antigenici (usati massicciamente da Asl e Usca-r come prima forma di screening), abbassando così la percentuale. Lo Spallanzani ha chiarito che vengono conteggiati soltanto i tamponi antigenici a immunofluorescenza con valore di cut-off superiore a 10. In pratica, quei test quantitativi che sopra una certa soglia rendono certi dell’esito, evitando il tampone molecolare per la conferma della positività.

 

Il virus in Lazio, poi, circola di fatto meno: secondo l’ultimo monitoraggio regionale di Istituto superiore di Sanità, relativo alla settimana tra il 2 e l’8 novembre, sono 224,29 i casi ogni 100mila abitanti contro i 355,47 della Campania, i 408,46 del Veneto e i 570,74 della Lombardia.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Anche R con t, l’indice epidemiologico principale per prevedere l’evoluzione del contagio, è tra i più bassi d’Italia: sempre in base ai dati dell’Iss sulla prima settimana di novembre, è a 1,04, solo qualche centesimo sopra la soglia considerata di criticità (in Lombardia è al 1,61, in Campania al 1,58, ma anche in Veneto è nettamente più alto al 1,29, di tutte le Regioni italiane). Tra le tante spiegazioni possibili una riguarda le grandi città e per una volta fa del più problematico dato strutturale della Capitale un vantaggio: la bassa densità abitativa (2.204 abitanti per chilometro quadrato contro gli 8.094 di Napoli e i 7.684 di Milano) che rende costoso aggiustare le strade, pulirle e far passare i bus, ma riduce anche le occasione di contagio.

 

PUBBLICITÁ

Altra particolarità laziale è la massiccia attività di screening cominciata già prima dell’estate con le centinaia di migliaia di test fatti prima su personale sanitario e forze dell’ordine, poi sugli insegnanti e nelle Rsa. Su circa 89mila casi di coronavirus fino ad oggi, ben 64mila sono stati trovati grazie all’attività di screening e solo 25mila persone sono state sottoposte al tampone per accertamenti clinici. In quasi tutte le altre Regioni, invece, il numero di casi scoperti dopa la comparsa di sintomi è più alto di quelli trovati con lo screening (221mila contro 63mila in Lombardia, 93mila contro 3mila in Campagna, 53mila contro 13mila in Toscana).

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ