PUBBLICITÁ

Con la pandemia è meglio vivere in una città medio-grande

Roberto Volpi

Lo dicono i numeri: nei 45 centri con più di 100 mila abitanti la mortalità della prima ondata è stata significativamente più bassa che nel resto d’Italia

PUBBLICITÁ

Ci sono 45 città con oltre 100 mila abitanti, in Italia. Per un totale di abitanti che all’inizio dell’anno era di 14.127.954, pari al 23,45 per cento del totale degli italiani. Nei mesi di marzo-aprile 2020, i mesi del lockdown, quelli della prima fase della pandemia in Italia, in queste città si sono registrati 34.623 morti, pari al 21,93 per cento dei 157.879 morti registrati a livello nazionale. Dunque il 23,45 per cento degli abitanti ha dato luogo al 21,93 per cento dei morti durante la prima ondata della pandemia. I conti sono presto fatti: il rischio di morire nelle grandi città italiane al tempo della pandemia, fatto uguale a 1 il rischio di morire in Italia, è stato pari a 0,93. La significatività statistica è altissima ed ecco dunque la conclusione: nelle città italiane con più di 100 mila abitanti la mortalità al tempo del coronavirus è stata significativamente più bassa che nel resto d’Italia.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Ci sono 45 città con oltre 100 mila abitanti, in Italia. Per un totale di abitanti che all’inizio dell’anno era di 14.127.954, pari al 23,45 per cento del totale degli italiani. Nei mesi di marzo-aprile 2020, i mesi del lockdown, quelli della prima fase della pandemia in Italia, in queste città si sono registrati 34.623 morti, pari al 21,93 per cento dei 157.879 morti registrati a livello nazionale. Dunque il 23,45 per cento degli abitanti ha dato luogo al 21,93 per cento dei morti durante la prima ondata della pandemia. I conti sono presto fatti: il rischio di morire nelle grandi città italiane al tempo della pandemia, fatto uguale a 1 il rischio di morire in Italia, è stato pari a 0,93. La significatività statistica è altissima ed ecco dunque la conclusione: nelle città italiane con più di 100 mila abitanti la mortalità al tempo del coronavirus è stata significativamente più bassa che nel resto d’Italia.

PUBBLICITÁ

 

Quando si dà per scontato che nella grande città si vive peggio, se non addirittura assai peggio, che nei piccoli borghi e nelle cittadine, nelle aree più defilate e lontane dal pulsare dei traffici, dovremmo andare a ricercare i dati della mortalità: scopriremmo che mortalità e speranza di vita sono di norma migliori nelle città e segnatamente nelle grandi città. L’epidemiologia non ha mai capito questa costante in quanto ancorata a una stretta logica dei rischi, dovesse considerare anche una logica dei vantaggi scoprirebbe che i vantaggi che offre la città compensano, spesso largamente, i rischi. La distribuzione delle 45 città è così fatta: 23 al nord, per un totale di 6.274.596 abitanti, pari al 22,6 per cento degli abitanti del nord; 8 al centro, per un totale di 4.068.596 abitanti, pari al 33,9 per cento degli abitanti del centro; 14 nel Mezzogiorno, per un totale di 3.785.137 abitanti pari al 18,5 per cento degli abitanti del Mezzogiorno. La popolazione di Roma crea una sovra-rappresentazione del centro, ma a parte questo la distribuzione delle città è bene equilibrata e il nord, che ha più sofferto l’epidemia, è convenientemente rappresentato sia dal numero che dagli abitanti delle città con oltre 100 mila abitanti. Insomma quelle città rappresentano una fotografia nient’affatto squilibrata del paese, e ciò rende quel numeretto, quello 0,93 del rischio di morire nella grande città al tempo del Covid, ancora più accettabile e indicativo.

 

PUBBLICITÁ

Ma c’è un punto ancora molto importante da esaminare. Nei calcoli fin qui visti si sono considerati i morti dei mesi marzo-aprile 2020. E in questi mesi nelle città i morti sono stati proporzionalmente meno che ne resto del paese. Ma potrebbe essersi comunque registrato in queste stesse città un incremento dei morti rispetto ai mesi di marzo-aprile del 2019 più forte che nel resto d’Italia. In altre parole, la differenza di mortalità a favore delle grandi città potrebbe essere stata ancora maggiore nei mesi di marzo-aprile del 2019 rispetto ai mesi di marzo-aprile del 2020 e ciò starebbe a significare che, ferma restando la minore mortalità nelle città nel bimestre marzo-aprile 2020, l’epidemia avrebbe però colpito più duramente nelle città che nel resto d’Italia. E’ andata così? No, non è andata così. Ed ecco i dati che lo dimostrano. I morti nel bimestre marzo-aprile 2020 sono aumentati di 48.783 unità rispetto a quelli del bimestre corrispondente 2019, così ripartiti: 10.050 in più, pari al 40,9 per cento in più, nelle città con oltre 100 mila abitanti e 38.733 in più, pari al 45,8 per cento in più, nel resto del paese.

 

Non una differenza abissale, d’accordo. Ma anch’essa statisticamente assai significativa, per una conclusione a questo punto a prova di bomba: nelle città italiane con oltre 100 mila abitanti non solo nei mesi della prima ondata della pandemia il rischio di morire è stato più basso che nel resto del paese (0,93, fatto uguale a 1 il rischio Italia) ma l’aumento dei morti imputabile al Covid è stato inferiore a quello registrato nel resto del paese. Ora, siccome tutte le immagini dell’epidemia danno l’idea di rischi di contagio grandemente superiori nelle città, e segnatamente in quelle di maggiori dimensioni, forse occorrerebbe cominciare a riflettere sui numeri dei morti che, comunque li prendiamo, dicono inappellabilmente che nelle città di oltre 100 mila abitanti le cose nella prima ondata della pandemia sono andate meglio che altrove.

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ