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Editoriali

“Aiutateci, come avevamo fatto noi”

Redazione

L’ospedale di Monza che chiede aiuto e il nostro paese lento e frammentato

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"Siamo noi ora l’epicentro della pandemia”, perciò “diventa urgente che si attivino maggiormente trasferimenti anche verso ospedali meno colpiti del nostro”. Lo ha detto ieri Mario Alparone, direttore dell’ospedale San Gerardo di Monza, uno dei più grandi e tra i migliori in Lombardia, che in primavera era stato punto di riferimento anche per altri territori. Che sta succedendo negli ospedali, cosa sta andando storto? La domanda drammatica che tutta l’Italia si sta facendo, dalla Calabria al Piemonte, dai vertici della politica alle persone comuni, ha risposte emergenziali e risposte storiche. E anche radici che affondano nella poca capacità di condividere le risorse e in un residuo assurdo di localismo, per il quale muoversi da una città all’altra spesso continua a rivelarsi un viaggio mentale.

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"Siamo noi ora l’epicentro della pandemia”, perciò “diventa urgente che si attivino maggiormente trasferimenti anche verso ospedali meno colpiti del nostro”. Lo ha detto ieri Mario Alparone, direttore dell’ospedale San Gerardo di Monza, uno dei più grandi e tra i migliori in Lombardia, che in primavera era stato punto di riferimento anche per altri territori. Che sta succedendo negli ospedali, cosa sta andando storto? La domanda drammatica che tutta l’Italia si sta facendo, dalla Calabria al Piemonte, dai vertici della politica alle persone comuni, ha risposte emergenziali e risposte storiche. E anche radici che affondano nella poca capacità di condividere le risorse e in un residuo assurdo di localismo, per il quale muoversi da una città all’altra spesso continua a rivelarsi un viaggio mentale.

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Che succede al San Gerardo di Monza? La Brianza, colpita in modo meno grave dalla prima ondata, è ora al centro delle preoccupazioni. Ieri 450 ricoverati, di cui 43 in terapia intensiva e altri 95 presso l’ospedale di Desio. Inoltre, 340 operatori sanitari positivi al Covid e quindi in quarantena. Il più importante ospedale del territorio a un passo dal collasso. Il direttore sanitario, e assieme a lui il sindaco Dario Allevi, hanno lanciato lo stesso appello: “È necessario che i territori vicini ci diano una mano, proprio come avevamo fatto noi con loro durante i primi mesi dell’epidemia. Perché è evidente che usciremo prima da questa emergenza solo se saremo coesi e vi sarà aiuto reciproco anche sul fronte sanitario”.

 

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La risposta, per ora, soffia nel vento. Ma siamo fiduciosi. Però quella frase: “Proprio come avevamo fatto noi”. Sembra inutile da dire, quasi la rivendicazione di un merito che attende ricompensa. In realtà non è così: è l’indicazione che qualcosa ancora non va, nel nostro livello di responsabilizzazione. Dovrebbe essere normale che di fronte a una simile emergenza tutti i “vicini” si mettano a disposizione, senza aspettare la richiesta. Dovrebbe essere normale per un paese organizzato, persino il paese delle cento città, che il coordinamento tra le forze locali fosse istantaneo, automatico. Se un grande ospedale è costretto a chiederlo, significa che ancora non siamo quel tipo di paese.

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