Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 

Il Foglio Salute

Poco presente e disomogenea, la medicina territoriale va riformata

Luisa Brogonzoli

Lo stress test della pandemia ha fatto emergere meriti e limiti dei medici di famiglia

Gli stress test sono nati negli Stati Uniti dopo la crisi del 2008 per osservare e valutare come reagirebbero le banche centrali in caso di eventi economico-finanziari disastrosi, e la pandemia Covid può essere considerata uno stress test per il sistema sanitario inteso sia come sistema centrale sia periferico, ovvero dagli ospedali alla medicina territoriale.

 

Nelle regioni più colpite e in quelle in cui i maggiori investimenti si sono focalizzati sul potenziamento ospedalocentrico, la sostenibilità della medicina territoriale ha mostrato segni di cedimento sia nella prima ondata pandemica, che nell’attuale. La fragilità più evidente riguarda la figura centrale rispetto alla vita di ogni cittadino: il medico di medicina generale (MMG) o medico di famiglia. Da soggetto pressoché inesistente nel panorama mediatico prima della pandemia è divenuto uno dei protagonisti, a volte applaudito come eroe, altre vilipeso al pari di un disertore.

 

In Italia ci sono quasi 44.000 MMG, con una quota leggermente inferiore rispetto agli standard europei, che eseguono complessivamente circa 500 milioni di visite l’anno con una media di otto contatti per utente. Il ministero della Salute quest’anno ha invitato tutti cittadini a vaccinarsi contro l’influenza poiché, in un contesto pandemico, ciò costituisce un elemento di protezione individuale e collettiva, ma non tutti i medici hanno aderito alla campagna. In Lombardia, la regione da sempre più colpita, non ha aderito il 10 per cento dei MMG, a Milano 1 su 5.

 

È di questi giorni la decisione della Conferenza Stato-Regioni di poter effettuare tamponi rapidi presso medici di famiglia e pediatri, ma la posizione dei sindacati degli stessi lamenta il mancato coinvolgimento in sede di accordo, esprimendo un generale dissenso basato sulla mancanza di spazi idonei – si consideri che gli ambulatori a volte sono troppo piccoli e, spesso, si trovano nell’ambito di condomini con abitazioni private – pesanti incombenze burocratiche aggiuntive, carenza di tempo.

 

Il 20 agosto scorso è stata inviata alle scuole una comunicazione del Commissario Arcuri che invitava tutto il personale a effettuare il test sierologico gratuitamente presso il proprio medico, e a fronte di un 25 per cento di insegnanti che non ha voluto testarsi si stima che ben il 35 per cento dei MMG si sia rifiutato di somministrarlo. Una percentuale, quest’ultima, inaccettabile persino per le stesse federazioni di rappresentanza che evidenziano la necessità di individuare strumenti per estromettere alcuni colleghi dalla possibilità di esercitare la professione.

 

Il 7 aprile Fondazione The Bridge ha pubblicato i dati di un sondaggio sulla popolazione italiana rispetto a eventuali criticità sanitarie in periodo Covid da cui sono emerse lamentele circa l’impossibilità di mettersi in contatto con il proprio medico. Neppure una settimana prima la ragioneria dello stato si era espressa negativamente sull’emendamento 5.1 al decreto Cura Italia che aspirava a estendere la fornitura dei dispositivi di protezione individuale anche a MMG, pediatri e farmacisti. Chi è stato vicino ai propri pazienti l’ha fatto mettendo a repentaglio la propria salute. Dall’inizio della pandemia, la FNOMCeO dedica un ricordo ai medici caduti causa del Covid, 184 di cui 61 MMG.

 

Ma chi ha preferito o preferisce sparire diventando irrintracciabile? Sulla questione i social sono pieni di rabbia e frustrazione da parte di molti.
Non ci si dovrebbe limitare ad accertare un rifiuto, ma comprendere se sia giusto che possa essere fatto. È accettabile che figure centrali del sistema sanitario possano arrogarsi la decisione di rispettare o meno indicazioni sui servizi da erogare? In questo contesto va ricordato che i MMG sono liberi professionisti facenti capo alle Asl e con contratti diversi tra regioni rispetto alle attività e ai servizi che devono assicurare.

 

Quando i numeri non bastano a tracciare un’analisi, il richiamo all’etica appare inderogabile, come fortemente richiamato dall’unità di Bioetica dell’Istituto Superiore di Sanità. Quale etica deve prevalere di fronte a uno stato di emergenza? Quella verso l’individuo o verso la collettività? Una risposta efficace al Covid-19 deve riconoscere la tensione tra il dovere di cura incentrato sul singolo – sia esso paziente o il medico stesso come possibile vettore di virus – e i doveri di salute pubblica della comunità esposta alla pandemia.

 

Quesiti che coinvolgono tutti, sia a livello individuale, sia le autorità preposte: di chi è la responsabilità di pianificare la gestione delle sfide etiche prevedibili durante un’emergenza sanitaria? Le sfide etiche sorgono quando c’è incertezza su come fare la cosa giusta, quando i doveri o i valori sono in conflitto. Situazioni di Moral distress – la sensazione di non essere in grado di fare la cosa giusta – sono prevedibili durante un’emergenza pubblica prolungata. Qualsiasi sia lettura che se ne voglia fare – clinica, etica, politica – la risposta pare sembra la stessa: è urgente la necessità di una riforma.
Il nostro paese – basato sul diritto alla salute per tutti – non si merita un sistema di medicina territoriale poco presente e disomogeneo; ma non lo meritano neppure gli stessi medici.

 

C’è bisogno di un cambiamento, di una riforma che migliori le prestazioni in termini di efficacia ed efficienza, che crei un sistema di continuità tra i presidi ospedalieri e il territorio, che uniformi il rapporto di lavoro per gli operatori sanitari nei due ambiti e che, infine, renda equa a livello nazionale la possibilità di essere curati. È necessaria una scelta politica coraggiosa per compiere un rinnovamento da troppo tempo rimandato.

 

Siamo a un bivio: da una parte chi vorrebbe sostituire i MMG con un’organizzazione territoriale centrata su altre professionalità, dall’altra una maggiore valorizzazione delle funzioni complessive della medicina generale riconoscendone il ruolo clinico-sociale, di figura di riferimento per le cronicità e le patologie acute trattabili e di “radar” epidemiologico. Non c’è più tempo per rimandare decisioni sullo status di dipendenza o meno dei MMG con le conseguenti ripercussioni circa diritti e obblighi e un loro rapporto sinergico con il comparto ospedaliero.

 

È auspicabile che in un futuro non troppo lontano, il legislatore compia scelte finalizzate a rendere il sistema sanitario più agile e conforme alle necessità del paziente, con un approccio volto al potenziamento dell’integrazione ospedale-territorio che risponda a effettive esigenze di prossimità e proattività. Ciò che sta accadendo nel nostro paese rappresenta un’occasione irripetibile per rivedere complessivamente ruoli, compiti e obiettivi delle realtà presenti localmente per rendere la rete ancora più efficiente. Esistono in Italia modelli eccellenti, in testa quello veneto, un modello nato dal confronto tra le parti, dalla risposta a precisi criteri di appropriatezza e di un’attenta comunicazione pubblica, il tutto nell’ottica di una rieducazione all’utilizzo consapevole dei servizi territoriali.

 


Luisa Brogonzoli è la responsabile del centro studi della Fondazione The Bridge

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