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Quanto incidono le scuole sulla diffusione del virus?

Guglielmo Barone*

Esiste una relazione tra riaperture e contagi? Per prendere decisioni servono dati e un nuovo metodo. I casi di Italia e Germania

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Di fronte alla recente impennata dei contagi, le ultime misure prese dal governo hanno interessato solo in parte la scuola, il cui ruolo come volano dei contagi resta peraltro molto discusso. Due ricerche molto recenti (per chiarezza: non ancora sottoposte a peer review e tuttavia solide e tempestive) offrono spunti interessanti. Il primo studio è stato pubblicato in ottobre da un importante istituto di ricerca tedesco che si occupa di economia del lavoro (Iza). Gli autori analizzano il caso della Germania, dove la riapertura delle scuole dopo la sosta estiva è stata scaglionata nei diversi länder in date diverse. Ai due estremi temporali, le scuole hanno riaperto il 3 agosto nel Mecklenburg-Vorpommern (nel nord-est) e il 14 settembre nel Baden-Württemberg (nel sud-ovest). I tre economisti hanno confrontato l’andamento dei contagi nelle aree che hanno riaperto le scuole prima con quelli dove l’apertura è stata successiva: se le scuole favoriscono la diffusione, allora a distanza di qualche settimana (per tenere conto dei tempi di incubazione e successiva manifestazione del virus) si dovrebbe osservare un aumento dei contagi dove si è riaperto prima rispetto al dato osservato nelle altre aree. Ebbene, così non è stato. Anzi: la riapertura ha portato un lieve calo dei contagi, sebbene statisticamente poco significativo. Insomma: in Germania, la riapertura delle scuole non ha favorito la diffusione del virus.

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Di fronte alla recente impennata dei contagi, le ultime misure prese dal governo hanno interessato solo in parte la scuola, il cui ruolo come volano dei contagi resta peraltro molto discusso. Due ricerche molto recenti (per chiarezza: non ancora sottoposte a peer review e tuttavia solide e tempestive) offrono spunti interessanti. Il primo studio è stato pubblicato in ottobre da un importante istituto di ricerca tedesco che si occupa di economia del lavoro (Iza). Gli autori analizzano il caso della Germania, dove la riapertura delle scuole dopo la sosta estiva è stata scaglionata nei diversi länder in date diverse. Ai due estremi temporali, le scuole hanno riaperto il 3 agosto nel Mecklenburg-Vorpommern (nel nord-est) e il 14 settembre nel Baden-Württemberg (nel sud-ovest). I tre economisti hanno confrontato l’andamento dei contagi nelle aree che hanno riaperto le scuole prima con quelli dove l’apertura è stata successiva: se le scuole favoriscono la diffusione, allora a distanza di qualche settimana (per tenere conto dei tempi di incubazione e successiva manifestazione del virus) si dovrebbe osservare un aumento dei contagi dove si è riaperto prima rispetto al dato osservato nelle altre aree. Ebbene, così non è stato. Anzi: la riapertura ha portato un lieve calo dei contagi, sebbene statisticamente poco significativo. Insomma: in Germania, la riapertura delle scuole non ha favorito la diffusione del virus.

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Come mai? Gli autori avanzano qualche ipotesi: l’efficacia delle misure di prevenzione messe in atto all’interno degli edifici scolastici e – osservazione interessante – l’atteggiamento di maggiore cautela da parte dei genitori, consapevoli che anche un semplice raffreddore dei figli ne avrebbe precluso l’accesso alla scuola. E per l’Italia? Su lavoce.info, Salvatore Lattanzio ha proposto qualche giorno fa un esercizio simile che sfrutta il fatto che in alcune regioni italiane la scuola ha avuto inizio il 14 settembre, in altre il 24. I risultati sono un po’ meno incoraggianti. Se a tre settimane dalla riapertura (lo stesso orizzonte temporale dello studio tedesco) l’impatto sui contagi è nullo anche per l’Italia, nella quarta e nella quinta settimana si osserva invece un impatto positivo e non piccolo. Non si ha però nessun effetto sui ricoveri. Tentiamo una sintesi, necessariamente provvisoria. Occorre precisare innanzitutto che entrambi i lavori confrontano giocoforza i contagi in regioni con le scuole aperte con quelli in regioni con le scuole chiuse e con i bambini ancora in vacanza; oggi, invece, all’apertura delle scuole si contrappone la didattica a distanza: non è quindi immediato trasferire i risultati di queste analisi al dibattito attuale. Ciò detto, sembra che, nel complesso, questi primi risultati non suggeriscano in modo univoco un forte nesso causale tra apertura delle scuole e diffusione del virus.

 

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Un paio di considerazioni ulteriori. La prima è ovvia ma va ribadita: oltre agli eventuali costi dell’apertura, una valutazione complessiva deve ovviamente tenere conto anche dei benefici – ampiamente documentati – in termini di competenze e redditi futuri degli studenti, di contrasto alla disuguaglianza, di produttività del lavoro dei genitori con figli piccoli. La seconda è un po’ meno ovvia. Alcuni limiti delle analisi qui riportate sono inevitabili poiché dipendono dal fatto che i ricercatori hanno trovato il contesto dell’analisi già precostituito e non hanno potuto far altro che reinterpretarlo al meglio, come se fosse simile a un contesto sperimentale: una pratica diffusa e arguta, ma necessariamente ex post. Di fronte a decisioni così importanti potrebbe invece valere la pena che il decisore pubblico appronti ex ante il quadro sperimentale della ricerca, per esempio selezionando opportunamente alcune aree dove sperimentare, per un lasso di tempo contenuto al minimo necessario, l’apertura delle scuole mentre altre aree, con la didattica a distanza, fungerebbero da gruppo di controllo. Non sarebbe politicamente facile ma nemmeno impossibile. E’ il metodo indirettamente premiato con il Nobel per l’economia nel 2019.

 

 

Nel frattempo, si potrebbero da subito rendere disponibili i dati epidemiologici in forma molto più disaggregata (con le dovute cautele sulla privacy) per permettere a tutta la comunità scientifica di svolgere analisi indipendenti e quanto più possibile accurate, linfa della discussione democratica e del miglioramento delle politiche. Con questi passi, il Covid potrebbe diventare l’occasione per avviare anche nel nostro paese, in ritardo rispetto ad altre esperienze estere, l’auspicabile salto di qualità nella valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche.

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*Guglielmo Barone è docente presso l'Università degli Studi di Padova

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