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Curare i danni psicologici della pandemia

Eva Massar

Con il Covid sono aumentate ansia e depressione. Parla il presidente dell’Ordine degli psicologi: “Intervenire prima che sia tardi”

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Una pandemia dall’impatto sociale ma anche e soprattutto psicologico. E’ per questo che al centro delle nostre conversazioni mettiamo quella con David Lazzari, presidente del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi. Lazzari dirige il Servizio Psicologico dell’Azienda Ospedaliera di Terni, e in questi giorni è uscita l’edizione aggiornata alla pandemia del suo ultimo libro “La psiche tra salute e malattia. Evidenze ed epidemiologia”. In termini psicologici qual è stato l’impatto della pandemia? Ci vorrà tempo per capire gli effetti complessi di questa vicenda sulla psiche umana, anche perché non sappiamo quanto ancora durerà e che evoluzione avrà. Però sappiamo bene che la pandemia, sia per gli effetti sanitari che per quelli sociali, ha determinato una crisi psicologica diffusa, con livelli di stress mai visti.

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Una pandemia dall’impatto sociale ma anche e soprattutto psicologico. E’ per questo che al centro delle nostre conversazioni mettiamo quella con David Lazzari, presidente del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi. Lazzari dirige il Servizio Psicologico dell’Azienda Ospedaliera di Terni, e in questi giorni è uscita l’edizione aggiornata alla pandemia del suo ultimo libro “La psiche tra salute e malattia. Evidenze ed epidemiologia”. In termini psicologici qual è stato l’impatto della pandemia? Ci vorrà tempo per capire gli effetti complessi di questa vicenda sulla psiche umana, anche perché non sappiamo quanto ancora durerà e che evoluzione avrà. Però sappiamo bene che la pandemia, sia per gli effetti sanitari che per quelli sociali, ha determinato una crisi psicologica diffusa, con livelli di stress mai visti.

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Il Centro Studi CNOP tramite l’Istituto Piepoli ha monitorato periodicamente i livelli di stress degli italiani: oggi il 51 per cento ha un livello tra 70 e 100, che è il massimo. Si pensi che a gennaio 2020, prima della pandemia, solo il 30 per cento aveva questo livello di stress. Peraltro tutte le ricerche effettuate in Italia danno risultati analoghi. L’altra cosa che sappiamo bene è che questo disagio psicologico, se non viene ridotto con interventi efficaci, ha effetti a lungo termine sulla salute e sulla qualità della vita. E’ come un’onda che si propaga nel tempo, basti pensare a quello che si è osservato in altre emergenze: vi è stata una impennata delle malattie, per esempio un raddoppio di quelle cardiovascolari.

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E’ una condizione di cui non ci si deve vergognare, perché è una conseguenza fisiologica della situazione, e che va affrontata con consapevolezza. Aprirsi, confrontarsi con uno psicologo o uno psicoterapeuta, che sa ascoltare e comprendere, può fare la differenza. Ci sono delle particolari patologie emergenti, magari legate a fasce d’età particolari, in rapporto al Covid? I dati e l’osservazione clinica ci dicono che tutte le fasce d’età, sia pure per motivazioni in parte diverse e con manifestazioni differenti, sono interessate da questo disagio psicologico, una condizione conosciuta a livello internazionale come Psychological Distress e nei manuali diagnostici come Disturbo dell’Adattamento o, nei casi più gravi, disturbo post-traumatico da stress.

 

Si ha quando si vive una situazione di difficoltà significativa per la persona, come una malattia, una perdita, un cambiamento importante e così via: tutto ciò che mette in crisi i nostri equilibri adattativi. Pensiamo ai bambini che assorbono le ansie dei genitori, ai portatori di fragilità oggi ancora più vulnerabili, agli anziani che si sentono soli e in pericolo, alle persone con malattie che non ricevono più l’assistenza di cui hanno bisogno. Le nostre risorse psicologiche sono messe a dura prova, e ovviamente è la nostra capacità di resilienza che può fare la differenza, perché la reazione agli eventi è legata alla psiche soggettiva, che deve essere aiutata. La resilienza, delle persone e delle comunità, si può sviluppare anche nelle situazioni di emergenza con opportune strategie.

 

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Sembra una sorta di circolo vizioso tra aspetti sociali, sanitari e psicologici. Esattamente, del quale i cittadini hanno una consapevolezza diffusa. Pensi che il Censis ha rilevato come negli ultimi dieci anni le persone che vedono la dimensione psicologica centrale per la salute siano passate dal 40 al 60 per cento. La cultura biomedica è incentrata sugli aspetti biologici della malattia, ma sono le persone ad avere le malattie, non viceversa, e gli esseri umani si chiamano sapiens sapiens proprio per le loro caratteristiche psicologiche. Solo sui libri esistono malattie senza persone; lungo i percorsi esistenziali di ciascuno il rapporto tra salute e malattia è un equilibrio che varia e che dipende molto da fattori psicologici: soggettività, emozioni, relazioni e comportamenti.

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Non si capisce la malattia come realtà di una specifica persona se non si capisce di cosa è fatta la salute, e cioè non solo di buoni geni ma anche di come affrontiamo e viviamo le cose della vita. E questo spiega perché quando ci ammaliamo la componente psicologica sia così importante. Nel fronteggiare le malattie acute o nella gestione di una malattia cronica gli aspetti psicologici hanno un ruolo che è stato ben documentato scientificamente. La medicina ha fatto progressi enormi nel capire la dimensione molecolare delle malattie, nel mettere a punto trattamenti farmacologici, tecniche diagnostiche e chirurgiche sempre più sofisticate. Ma per fare questo ha dovuto pagare un prezzo, il suo sguardo si è concentrato sugli aspetti biologici dell’essere umano, cellule, organi e così via.

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L’altra faccia della medaglia, la psiche, è stata studiata da una psicologia che ha utilizzato sempre di più il metodo scientifico per produrre dati comparabili con quelli delle altre scienze. E oggi siamo in grado di osservare come un fatto psichico, l’attività mentale, modifichi i circuiti cerebrali o i processi fisiologici del corpo, o come psiche e DNA dialoghino. Sappiamo in altre parole che psiche e corpo sono interdipendenti, che l’essere umano è una realtà integrata. E allora abbiamo bisogno che ci siano competenze psicologiche dove servono nei contesti di cura se davvero vogliamo una cura centrata sulle persone. Si paragona spesso il Covid a una situazione di guerra, e durante il lockdown molte persone, proprio come nelle guerre, hanno perso delle persone care senza poterle salutare e accompagnare.

 

Per gestire questa e altre dinamiche, come quelle delle persone reduci dalle terapie intensive o gli stessi operatori sanitari, quanto sarebbe importante investire sui servizi psicologici? Queste situazioni producono effetti traumatici più o meno importanti ed evidenti. Noi abbiamo segnalato la necessità di interventi tempestivi per le fasce più esposte, perché conosciamo gli effetti di queste situazioni se non sostenute. Quello che si può risolvere con interventi anche brevi oggi, domani richiederà costi e tempi ben più importanti. Ecco l’esempio di un sistema pubblico che non sa individuare le priorità, anche perché nei servizi sanitari gli psicologi raramente hanno voce in capitolo, c’è sempre qualcuno che, pur non avendo competenze psicologiche, decide quello che devono o non devono fare.

 

Ci lamentiamo che oggi le competenze sono mortificate ma questo è un esempio eclatante che viene da chi, come le regioni o le Aziende sanitarie, dovrebbe invece saper valorizzare e utilizzare al meglio le competenze. Il SSN conta una bassa presenza di psicologi, perché e a che prezzo? Oggi solo una piccola parte dei problemi psicologici sono intercettati dal sistema pubblico, i dati pre-pandemia stimano che solo una persona su cinque che avrebbe bisogno di un aiuto specifico lo ottiene. La psicologia viene di fatto ancora considerata un lusso per pochi, nonostante per i più comuni problemi di ansia e depressione le terapie psicologiche siano in genere più efficaci e vantaggiose dei farmaci.

 

Prima della pandemia l’80 per cento dell’assistenza psicologica era pagata direttamente dai cittadini, di tasca propria. Oggi il bisogno è molto aumentato ma questa percentuale paradossalmente è scesa perché le persone hanno meno disponibilità economiche. Le persone sono perlopiù lasciate senza risposta, e persino gli infermieri e gli altri operatori sanitari sono dovuti ricorrere, attraverso i loro Ordini, a un accordo nazionale con l’Ordine degli Psicologi per trovare l’aiuto di cui hanno bisogno dopo mesi di lavoro in emergenza. Il Servizio Sanitario non riesce ad avere cura neanche dei suoi operatori.

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