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Stato di emergenza/2

Più trasparenza, per non minare la fiducia

Giacinto della Cananea

Il credito di cittadini e imprese nei confronti della politica è cruciale per far sì che le nuove limitazioni anti contagio siano rispettate

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Pochi giorni fa, il governo ha deliberato la proroga dello stato di emergenza per fronteggiare il rischio sanitario connesso con il Covid-19. Disposto per la prima volta il 31 gennaio per sei mesi e poi prorogato fino al 15 ottobre, lo stato di emergenza è adesso destinato a durare fino al 31 gennaio del prossimo anno. Ma l’attuale ritmo di diffusione del virus fa temere che possa durare ancor di più e con esso sia gli speciali poteri esercitati dal governo, sia le deroghe alle leggi. Alcuni studiosi, come Sabino Cassese, ne hanno messo in discussione il presupposto, cioè “se” vi sia una valida giustificazione per prorogare lo stato di emergenza. Ci si deve interrogare anche sul “come” quei poteri speciali sono stati utilizzati. La trasparenza è un valore irrinunciabile, per le democrazie liberali. Lo è perché, come Norberto Bobbio osservò quarant’anni or sono, si differenziano da altre forme di governo proprio in quanto in esse “la pubblicità è la regola, il segreto è l’eccezione”. Di conseguenza, pur se il segreto può essere giustificato in talune circostanze e per alcune informazioni, per esempio quando viene apposto il segreto di stato, deve rimanere limitato, per non alterare la norma generale, cioè la pubblicità. A questa norma di civiltà giuridica si è ispirata la nostra legislazione, seguendo l’esempio dei paesi più avanzati, come la Svezia e gli Stati Uniti.

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Pochi giorni fa, il governo ha deliberato la proroga dello stato di emergenza per fronteggiare il rischio sanitario connesso con il Covid-19. Disposto per la prima volta il 31 gennaio per sei mesi e poi prorogato fino al 15 ottobre, lo stato di emergenza è adesso destinato a durare fino al 31 gennaio del prossimo anno. Ma l’attuale ritmo di diffusione del virus fa temere che possa durare ancor di più e con esso sia gli speciali poteri esercitati dal governo, sia le deroghe alle leggi. Alcuni studiosi, come Sabino Cassese, ne hanno messo in discussione il presupposto, cioè “se” vi sia una valida giustificazione per prorogare lo stato di emergenza. Ci si deve interrogare anche sul “come” quei poteri speciali sono stati utilizzati. La trasparenza è un valore irrinunciabile, per le democrazie liberali. Lo è perché, come Norberto Bobbio osservò quarant’anni or sono, si differenziano da altre forme di governo proprio in quanto in esse “la pubblicità è la regola, il segreto è l’eccezione”. Di conseguenza, pur se il segreto può essere giustificato in talune circostanze e per alcune informazioni, per esempio quando viene apposto il segreto di stato, deve rimanere limitato, per non alterare la norma generale, cioè la pubblicità. A questa norma di civiltà giuridica si è ispirata la nostra legislazione, seguendo l’esempio dei paesi più avanzati, come la Svezia e gli Stati Uniti.

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Cosa ci si poteva dunque attendere, in positivo, dal governo? Né più, né meno che tenesse fede all’impegno preso dal presidente del Consiglio dei ministri il 21 marzo: “Fin dall’inizio ho scelto la linea della trasparenza, la linea della condivisione, ho scelto di non minimizzare, non nascondere la realtà”. Non si trattava d’una mera espressione retorica, bensì della doverosa premessa a una “decisione non facile”, ma necessaria per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Non era facile, in effetti, chiedere ai cittadini italiani drastiche limitazioni delle principali libertà fondamentali, inclusa quella d’incontrare familiari e amici. Pure, quella decisione è stata presa ed è stata rispettata, anche quando si è manifestata la più dura delle recessioni economiche dopo quella del 1929. Cittadini e operatori economici hanno aderito alla richiesta del presidente della Repubblica – nel discorso del 5 marzo – di seguire le indicazioni di comportamento quotidiano stabilite dal governo, dietro il suggerimento degli esperti, nel quadro d’una azione condotta “con piena trasparenza”. Però, la sollecitazione riguardante la “piena trasparenza” è stata rispettata solo in parte. Il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Cura Italia) ha sospeso i termini dei procedimenti amministrativi, inclusi quelli per l’accesso ai documenti. La sospensione è stata prorogata dal decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (Liquidità) fino al 15 maggio. Poche settimane dopo, gli uffici governativi hanno opposto un diniego alla richiesta della Fondazione Luigi Einaudi di accedere ai verbali del comitato tecnico-scientifico, cioè proprio ai documenti nei quali gli esperti avevano fornito suggerimenti al governo, in vista dei decreti con cui le libertà personali sono state limitate durante la prima fase della pandemia. Nel diniego, gli uffici governativi hanno fatto riferimento alla norma del 2013 che prevede un’eccezione alla trasparenza per l’attività diretta all’adozione di atti normativi e di atti amministrativi generali.

 

 

Quando la Fondazione Einaudi ha impugnato il diniego, però, il Tar Lazio ha prontamente accolto il ricorso. Quando il governo ha chiesto di sospendere gli effetti della sentenza del Tar, il provvedimento emanato dal presidente della terza sezione del Consiglio di stato, Franco Frattini, ha esposto seri dubbi quanto all’eccezione invocata. Ha osservato che, per poter “incidere, in modo tanto significativo, su diritti fondamentali della persona”, occorrerebbero non i decreti del presidente del Consiglio, ma le “ordinanze contingibili e urgenti che, però, nella legislazione anti-Covid, sono solo quegli atti (ad es. del ministero della Salute) che in tal modo la legge qualifica espressamente”, avallando – così – la tesi che la base legale appropriata sia fornita dalle norme sulla Sanità, anziché da quelle sulla Protezione civile. Ha aggiunto che quei verbali si riferivano a “periodi temporali pressoché del tutto superati”, tanto che la stessa amministrazione si era riservata di renderli pubblici, come poi ha fatto pochi giorni dopo la pubblicazione del provvedimento del giudice amministrativo. Il diniego era quindi ingiustificato. In un articolo pubblicato su questo giornale il 15 aprile, un altro magistrato del Consiglio di stato, Roberto Garofoli, aveva già contrastato la tesi che l’emergenza giustifichi una limitazione della trasparenza, argomentando che – all’opposto – le misure emergenziali devono “se mai essere affiancate da un surplus di trasparenza”. Perché, seguendo le indicazioni di autorevoli consiglieri di stato, il governo non dovrebbe garantire la piena trasparenza, per esempio sulle gare effettuate per acquistare i banchi scolastici o i beni indispensabili per fronteggiare la pandemia? Se lo facesse, potrebbe fugare il sospetto di agire, certo non con il favore delle tenebre, ma con una certa opacità. Contribuirebbe a rinsaldare la fiducia dei cittadini e delle imprese. Essa è quanto mai cruciale affinché le nuove limitazioni siano rispettate, soprattutto nell’attesa che le misure volte a rimettere in moto investimenti e consumi producano gli effetti auspicati.

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