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Differenze tra prima e seconda ondata, per non cadere nel terrore

Roberto Volpi

Sono cambiati il livello di letalità del virus e il fattore territoriale. Altri lockdown, anche se circoscritti nel tempo e nello spazio, potrebbero fare più danni, anche da un punto di vista strettamente sanitario

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Sei giorni di un prepotente scatto in avanti del numero dei contagiati da mercoledì 7 a lunedì 12 compresi hanno prodotto questi numeri: 29.307 nuovi contagiati e 175 morti. Siamo tornati, annotano esperti e commentatori, sui livelli giornalieri di nuovi contagiati della prima ondata del coronavirus. Non è così vero, dal momento che in questi ultimi sei giorni sono stati eseguiti 708 mila tamponi mentre al tempo del lockdown di tamponi se ne facevano meno di 250 mila a settimana, cosicché i nuovi contagiati proprio nei giorni dell’impennata dei contagi sono stati poco più di 4 ogni 100 tamponi contro gli 11 ogni 100 tamponi nel periodo del lockdown. Ma tra le due ondate ci sono altre notevoli differenze.

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Sei giorni di un prepotente scatto in avanti del numero dei contagiati da mercoledì 7 a lunedì 12 compresi hanno prodotto questi numeri: 29.307 nuovi contagiati e 175 morti. Siamo tornati, annotano esperti e commentatori, sui livelli giornalieri di nuovi contagiati della prima ondata del coronavirus. Non è così vero, dal momento che in questi ultimi sei giorni sono stati eseguiti 708 mila tamponi mentre al tempo del lockdown di tamponi se ne facevano meno di 250 mila a settimana, cosicché i nuovi contagiati proprio nei giorni dell’impennata dei contagi sono stati poco più di 4 ogni 100 tamponi contro gli 11 ogni 100 tamponi nel periodo del lockdown. Ma tra le due ondate ci sono altre notevoli differenze.

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La prima riguarda il livello di letalità del virus, dato dal rapporto tra morti positivi al coronavirus e contagiati. Nei sei giorni indicati il tasso di letalità – numero di morti ogni 100 contagiati – è stato dello 0,6 per cento. Anche nei giorni precedenti, quando la curva dei contagi cominciava a salire, il tasso di letalità si è sempre mantenuto sotto il livello dell’1 per cento, meno di un morto ogni 100 contagiati. Si dura fatica a capire perché i mezzi di informazione, e le televisioni nazionali in modo particolarissimo, ma anche gli innumerevoli ospiti che si avvicendano ai loro microfoni, siano così reticenti riguardo al numero dei morti.

 

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Eppure il dato è della massima importanza. Perché ci dice che questa seconda ondata di Covid-19 è ben diversa proprio per quanto riguarda il parametro più decisivo: la letalità. Il coronavirus potrebbe arrivare ai livelli di contagiosità della prima ondata, non è da escludersi, ma è ormai evidente che il tasso di letalità, pur oscillante, si mantiene su valori che sono una frazione minima di quel 14 per cento – 14 morti ogni 100 contagiati – raggiunto al tempo del lockdown. La letalità decisamente più bassa dice che l’idea, o la minaccia, di tornare al lockdown non è una buona idea. Un conto sono tutte le doverose attenzioni che si debbono prendere per contenere il contagio, un altro, e ben diverso, il tornare a chiuderci.

 

 

Anche perché il coronavirus ha dimostrato largamente di preferire proprio gli ambienti chiusi. Chiudere è una buona idea solo se gli ambienti che vengono chiusi sono coronavirus free sempre e comunque. Perché altrimenti l’idea diventa pessima, come dimostrano i tassi di contagiosità e letalità che si sono registrati nelle RSA non solo italiane ma, comunque si chiamino, di tutto il mondo occidentale. E veniamo all’altra differenza rispetto alla prima ondata: il fattore territoriale. L’epidemia ha cessato di riguardare pressoché esclusivamente le regioni del nord, questa seconda ondata mostra di colpire al nord come al centro come al sud. Si tratta di una diversità che si associa bene alla trasformazione della letalità e in certo senso la rafforza.

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Spieghiamoci. L’influenza stagionale ha un basso livello di letalità associato a un alto grado di contagiosità ch’è normalmente assai poco differenziato in senso territoriale. In questi giorni, in queste ultime due settimane, mentre la diffusione del coronavirus investiva in pieno anche il sud il tasso di letalità del coronavirus si è portato a un livello analogo al tasso di letalità dell’influenza stagionale. Ciò non vuol dire che l’epidemia di coronavirus sia un’epidemia influenzale, ma che espandendosi territorialmente la diffusione del virus la sua letalità si attenua, così com’è attenuata la letalità dell’influenza nell’ampia diffusione che le è tipica. Non si può neppure escludere che la diffusione del coronavirus, allargandosi, vada a occupare lo spazio eco-biologico dei virus influenzali in arrivo o già debolmente in essere.

 

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In conclusione: l’impennata dei contagiati degli ultimi giorni non può non impensierire, ma il grado di contagiosità del coronavirus resta largamente al di sotto di quello della prima fase mentre il numero dei morti è limitato e il tasso di letalità basso. E tutti questi parametri, assieme a quello dei ricoveri ospedalieri e nelle terapie intensive, vanno osservati e letti congiuntamente, prima di prendere decisioni come il ritorno a lockdown anche circoscritti nel tempo e nello spazio che potrebbero fare decisamente più danni, anche da un punto di vista strettamente sanitario, che altro.

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