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editoriali

L’Europa impari dal nuovo Apple Watch

redazione

La sfida sulla salute pone all’industria europea un tema di subalternità

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La Apple, con tempestività, ha lanciato sul mercato un nuovo orologio elettronico che viene presentato come uno strumento di controllo sanitario. In realtà il meccanismo di controllo della frequenza cardiaca era già presente nei modelli precedenti (e in molti smartwatch di altre aziende) mentre la novità, il sensore per la misurazione dei livelli di ossigeno nel sangue, non è un vero dispositivo sanitario e in realtà non si sa a che cosa serva davvero. Però in una fase di ipersensibilità ai rischi sanitari, soprattutto tra le persone più anziane, e più dotate di risorse finanziarie, anche dispositivi che solo potenzialmente potranno servire a controllare dati capaci di indicare il rischio di patologie hanno un sicuro mercato. Il nuovo prodotto Apple per la verità non è così nuovo e non si discosta molto da altri prodotti di altre case, non richiede particolari tecnologie e alla fine potrebbe non servire a molto: la forza commerciale di Apple, costruita su una serie di prodotti tecnologici di grande capacità e di eccellente design, sarà probabilmente la carta vincente. Però, visto che in questo specifico prodotto non ci sono evoluzioni tecnologiche particolarmente avanzate, ci si domanda perché la stessa opportunità determinata da una domanda potenziale piuttosto evidente non sia stata sfruttata anche da altre aziende, a cominciare da quelle europee. Il problema della subalternità dell’Europa all’elettronica americana (e cinese) è una questione culturale.

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La Apple, con tempestività, ha lanciato sul mercato un nuovo orologio elettronico che viene presentato come uno strumento di controllo sanitario. In realtà il meccanismo di controllo della frequenza cardiaca era già presente nei modelli precedenti (e in molti smartwatch di altre aziende) mentre la novità, il sensore per la misurazione dei livelli di ossigeno nel sangue, non è un vero dispositivo sanitario e in realtà non si sa a che cosa serva davvero. Però in una fase di ipersensibilità ai rischi sanitari, soprattutto tra le persone più anziane, e più dotate di risorse finanziarie, anche dispositivi che solo potenzialmente potranno servire a controllare dati capaci di indicare il rischio di patologie hanno un sicuro mercato. Il nuovo prodotto Apple per la verità non è così nuovo e non si discosta molto da altri prodotti di altre case, non richiede particolari tecnologie e alla fine potrebbe non servire a molto: la forza commerciale di Apple, costruita su una serie di prodotti tecnologici di grande capacità e di eccellente design, sarà probabilmente la carta vincente. Però, visto che in questo specifico prodotto non ci sono evoluzioni tecnologiche particolarmente avanzate, ci si domanda perché la stessa opportunità determinata da una domanda potenziale piuttosto evidente non sia stata sfruttata anche da altre aziende, a cominciare da quelle europee. Il problema della subalternità dell’Europa all’elettronica americana (e cinese) è una questione culturale.

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L’Europa è sentita e quel che è peggio si sente come un campione della meccanica e della chimica, ma si sente esclusa dal mercato dell’elettronica di consumo nei suoi segmenti più avanzati. E’ soprattutto un effetto della tradizione tedesca? Può darsi, ma se un continente dotato di tecnologie avanzate competitive (anche nel campo dell’elettronica) si autoesclude dal mercato che ha segnato nell’ultimo decennio i maggiori tassi di crescita vuol dire che ha un problema colossale, prima di tutto di coscienza delle proprie potenzialità. Non ha senso criticare “l’opportunismo” di Apple. Bisognerebbe domandarsi invece perché gli europei continuano a perdere occasioni per competere su un terreno economicamente sempre più decisivo.

 

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