Un'illustrazione del 1898

L'osteopatia è un pericolo e una pseudoscienza? Gli osteopati rispondono al Foglio

Dopo l'articolo di Enrico Bucci e Salvo Di Grazia i rappresentanti di categoria (arrabbiati) ci hanno scritto. E gli autori controreplicano

Al direttore - Nessuna evidenza di efficacia non significa evidenza di non efficacia. E' con questa citazione (BMJ, 2016 e JAMA, 2013) che desideriamo rispondere all’articolo sull’osteopatia a firma del biologo Enrico Bucci e del medico Salvo Di Grazia. Una risposta che sarà basata sulla scienza. Perché in primo luogo l’osteopatia è una scienza al pari di tutte le altre discipline biomediche. L’OMS la definisce “una professione sanitaria di contatto primario con competenze di diagnosi osteopatica, gestione e trattamento, esclusivamente manuale” ed è stata individuata come professione sanitaria dalla Repubblica Italiana con la legge 3/2018. La “disfunzione somatica”, di competenza esclusivamente osteopatica, è stata codificata nella decima edizione (ICD 10) dell’International Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS – WHO), al Settore XIII (Malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo) Codice M99 (Lesioni biomeccaniche non classificate altrove).

 

 

In secondo luogo, l’osteopatia gode di una nutrita letteratura scientifica. Una rapida ricerca bibliografica su Pubmed, il database di riferimento che raccoglie più di 30 milioni di articoli scientifici pubblicati su riviste indicizzate e sottoposte al complesso processo di peer-review, restituisce più di 1500 lavori scientifici sul trattamento osteopatico. Di questi più del 30% riguarda studi clinici randomizzati e revisioni sistematiche con e senza meta-analisi, che rappresentano il livello più alto di evidenza e che valutano l’efficacia terapeutica dell’osteopatia in diversi contesti clinici. In terzo luogo, il termine “evidenza”, come nel caso dell’articolo, è spesso utilizzato in modo inappropriato, in quanto non si riferisce alla presenza o meno di studi scientifici, intesa come numerosità degli studi pubblicati in riviste scientifiche, ma alla qualità metodologica con cui questi studi sono stati condotti. Motivo per cui possono esistere studi scientifici di bassa qualità che non sono in grado di dare indicazioni utili sull’efficacia di un trattamento. Infatti solitamente questi studi concludono affermando che non si può dire se una terapia è stata efficace o meno a causa della scarsa qualità metodologica.

 

Questo vale per la maggior parte degli studi di ricerca biomedica, che siano di natura farmacologica o meno. Comprenderà che questo crea grande difficoltà nel capire quale sia la terapia più appropriata nella cura di una determinata condizione clinica, lasciando spesso i clinici e la politica sanitaria in grande incertezza nella gestione dei problemi di salute pubblica. I firmatari dell’articolo citano inoltre alcune revisioni Cochrane, dimostrando poca dimestichezza nell’interpretazione dei risultati. Entrambe le revisioni dichiarano infatti che a causa della scarsa qualità metodologica degli studi primari considerati non si può valutare l’efficacia del trattamento, che in entrambi i casi non riguarda il trattamento osteopatico, ma la manipolazione spinale nel caso della dismenorrea e la terapia manuale nel caso delle coliche infantili. In quarto luogo, l’osteopatia non è una tecnica, ma una professione sanitaria a tutti gli effetti. Quando si parla di una singola tecnica, come la manipolazione vertebrale, non si sta parlando di osteopatia, perché essa prevede un proprio ragionamento clinico in seguito al quale si decide quale approccio osteopatico utilizzare in funzione della condizione clinica e della tipologia di paziente che si sta trattando. Aggiungiamo che le stesse revisioni Cochrane affermano per gli stessi motivi che non è possibile determinarne i possibili eventi avversi e la stessa letteratura è contrastante a riguardo. Il problema della scarsa qualità metodologica degli studi non è solo dell’osteopatia ma di tutta la ricerca biomedica.

 

Infatti in una recente pubblicazione su The New England Journal of Medicine (NEJM 13 febbraio 2020), si sottolinea la difficoltà di applicare i risultati degli studi clinici randomizzati alla pratica clinica proprio a causa dei molteplici problemi metodologici che si riscontrano durante la stesura di un lavoro scientifico. Esistono molte realtà scientifiche quali Cochrane, Equator Network, The Joanna Briggs Institute che stanno studiando e sviluppando nuovi strumenti per la valutazione della qualità metodologica degli studi in tutto l’ambito biomedico, osteopatia inclusa. Ci permetta, infine di aggiungere, che il termine “medicina basata sulle prove di efficacia” è stato sostituito dal termine “Pratica clinica basata sulle prove di efficacia (Evidence-based Clinical Practice-EBP), in cui l’osteopatia, essendo una pratica clinica, trova la sua collocazione. Troviamo grave e oltraggioso affermare che l’osteopatia non cura ed è dannosa, proprio perché ad oggi non ci sono evidenze a sostegno di quanto riportato nell’articolo. Tutta la comunità osteopatica ribadisce con fermezza che l’osteopatia è una scienza e che sta sottoponendo al processo scientifico le proprie competenze di cura per appurarne le prove di efficacia, al pari di tutte le altre scienze biomediche. Usare in modo strumentale il tema delle “non evidenze” rischia di danneggiare un’intera professione e di creare confusione tra i pazienti di fronte alla diffusione di notizie su presunti effetti dannosi dell’osteopatia non comprovati. Dalla fine del 2018, con l’individuazione dell’osteopatia come professione sanitaria, i cittadini e gli osteopati attendono che i Ministeri competenti procedano con la definizione dei decreti attuativi che la renderanno effettiva a tutela non solo della professione, ma anche dei professionisti e soprattutto dei pazienti.

 

Ringraziandola per l’attenzione la preghiamo di gradire i più cordiali saluti

 

Paola Sciomachen, Presidente ROI – Registro degli Osteopati d’Italia

Carlo Broggini, Presidente Associazione Professionale degli Osteopati

Gina Barlafante, Presidente Associazione Italiana Scuole di Osteopatia

Alfonso Mandara, Presidente FeSIOs

 

Rispondono Enrico Bucci e Salvo Di Grazia: Come spesso accade nel campo delle medicine complementari, la ricerca di appigli per definire scientifica una pratica che di scientifico non ha nulla serve più a confondere che a informare. Gli osteopati scambiano una regolamentazione burocratica con un riconoscimento scientifico, dimenticando di dire, per esempio, che il citato Icd (che per loro rappresenterebbe una sorta di riconoscimento) è un manuale che elenca i codici delle malattie (e delle procedure) a scopo burocratico e che proprio perché le loro presunte disfunzioni non esistono in medicina, colloca le mai dimostrare disfunzioni osteopatiche in una categoria generica, (“Lesioni biomeccaniche, non classificate altrove”).

 

Sostenere inoltre che non è possibile dimostrare gli effetti dell’osteopatia per limiti metodologici significa ammetterne l’inconsistenza: tutto ciò che non si può dimostrare scientificamente, per definizione, non è scientifico. Se poi gli effetti sono attesi sulla base di una obsoleta teoria vitalistica, al massimo siamo nel paranormale. Nessuna evidenza di efficacia non significa evidenza di non efficacia, è vero: ma in una medicina basata sulle evidenze una pratica deve essere sospesa finché l’evidenza di efficacia clinica non sia stabilita.

 

Quando poi non esiste una prova di efficacia solida, mentre sono documentati dei rischi seri come quello di ictus, una pratica dovrebbe essere abbandonata. E a proposito del rischio di ictus da manipolazioni osteopatiche, basti riportare le parole degli stessi osteopati inglesi appartenenti al collegio britannico di osteopatia che, nell’elenco dei rischi da trattamenti osteopatici, alla prima riga riportano: “Sintomi neurologici centrali, per esempio ictus”.

 

L’osteopatia presenta rischi ed è basata su credenze pseudoscientifiche; non siamo noi a dirlo, ma gli stessi osteopati. Ecco per esempio un estratto di ciò che scriveva pochi anni fa sulla più antica e importante rivista di osteopatia, (The Journal of American Osteopathic Association) un importante medico osteopata americano: “ […] Come studente universitario, ho ricevuto un’eccellente educazione medica e sono orgoglioso di essere un DO, ma non posso continuare a supportare un sistema di assistenza sanitaria antiquato che si basa su aneddotica o, in alcuni casi, pseudoscienza. Quando ero uno studente di medicina, mi hanno insegnato ad analizzare criticamente problemi e a praticare la medicina basata sull’evidenza. Quando arrivammo ai corsi di princìpi e pratica dell’osteopatia, tuttavia, fu chiesto a me ed ai miei colleghi di mettere da parte le nostre capacità critiche e le nostre competenze mediche basate sull’evidenza ed accettare i principi della Omt per fede. Quando abbiamo messo in discussione pratiche esoteriche quali la terapia craniosacrale e la terapia del campo energetico, ci hanno detto "dovevamo credere". Allo stesso modo, quando meno del 5 per cento della classe “sentì” il ritmo cranio-sacrale, il resto fu deriso per la sua mancanza di fede – fino a minacciarne l’espulsione dalla scuola di medicina. Quando ci lamentammo che alcuni studenti usavano gli accendini elettrici dei barbecue per stimolare invisibili “campi energetici”, ci dissero che con il tempo saremmo arrivati a capire ed a credere.

 

Nella scuola di medicina osteopatica, i corsi sulla Omt erano così radicati nella storia, nella tradizione e nell’aneddotica che una domanda inclusa nell’esame finale chiedeva il nome della mascotte della American School of Ostepathy nel 1906, una domanda chiaramente senza alcuna rilevanza clinica. Quando io ed i miei compagni di classe chiedemmo delucidazioni sulla scienza dietro l’Omt, ci fornirono copie di studi che erano poco più che dichiarazioni di fede pubblicate nel Journal of the American Osteopathic Association vecchi di oltre 50 anni. Come scrisse Mark Twain nel suo libro Seguendo l’equatore “la fede è credere in ciò che tu sai non essere vero”. Come può la professione del medico specialista in osteopatia cercare deliberatamente i migliori laureati nei college, per farli diventare medici osteopatici, e allo stesso tempo, chiedere a quegli studenti di credere e praticare modalità terapeutiche che hanno poco o nessun effetto provato? E parimenti, come possono i medici osteopatici, mantenendo una faccia seria, chiedere a quegli studenti di credere che le ossa fuse del cranio si muovano secondo un ritmo magico che i ricercatori mainstream non hanno mai potuto documentare? (Forse i risultati di questi ricercatori sarebbero diversi se essi avessero “fede”).

 

Come possiamo chiedere agli studenti di credere che il corpo abbia un campo di energia che non può essere visto o misurato obiettivamente o chiedere a quegli stessi studenti di credere che procurare il rilascio miofasciale renderà i tessuti capaci di “ricordare” il trauma che ha causato la loro ferita? Questo è quello che ci hanno insegnato; non aveva senso allora e ora ha ancora meno senso […]”. Non aveva senso allora e ora ha ancora meno senso: non crediamo ci sia altro da aggiungere.

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