Foto di Telegram, Zelensky, via Ansa 

a carte scoperte

Kyiv chiede la rimozione della Russia dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. Il blitz e “i padroni”

Paola Peduzzi

Tra il 25 e il 26 tre morti russi. La Russia usa l'attacco non rivendicato per ribaltare la propaganda. Intanto continua a bombardare, a cominciare da Kherson. Zelensky vuole Putin fuori dal tavolo decisionale delle Nazioni Unite 

“Se i russi pensavano che nessuno a casa loro sarebbe stato colpito dalla guerra, si sbagliavano di grosso”, ha detto un portavoce dell’Aeronautica ucraina, senza fare diretto riferimento al secondo attacco in un mese alla base aerea russa di Engels, a 480 chilometri dal confine con l’Ucraina, dove ci sono i bombardieri a lungo raggio che possono portare testate nucleari, tra cui il Tupolev-160 e il Tupolev-95, e da dove parte la grande maggioranza degli assalti aerei all’Ucraina. Nell’attacco avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 dicembre, ci sono stati tre morti russi.

 

Il governo ucraino non si assume direttamente la responsabilità del blitz – non lo aveva fatto nemmeno all’inizio del mese – ma Mosca lo utilizza per rinverdire la propaganda sulle provocazioni dell’Ucraina e dei “suoi padroni”, come li ha definiti (anche) il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che denuncia anche la volontà di Kyiv e dell’America di non voler accettare alcun compromesso, cosa ancora più evidente dopo “la visita trionfale” negli Stati Uniti del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Il Cremlino prova ancora una volta a ribaltare il ruolo dell’aggredito e dell’aggressore, giocando a fare la vittima mentre bombarda in continuazione l’Ucraina, costringendo gli ucraini nei rifugi, colpendo tutte le città con forza, come è accaduto e accade a Kherson, la città liberata dagli ucraina che per Vladimir Putin doveva essere russa-per-sempre. Zelensky avverte che gli attacchi dell’esercito di Mosca si intensificheranno, da Kherson partono gli autobus per le evacuazioni, anche se le destinazioni più sicure sono sempre meno e sempre meno vivibili, perché nel frattempo tutte le infrastrutture del paese sono state danneggiate.

 

“Provocazione” è una parola che ricorre dall’inizio della guerra, dieci mesi fa, anzi è la parola che Putin utilizza per giustificare l’invasione: eravamo in pericolo, non ci erano state fornite le garanzie di sicurezza richieste, abbiamo dovuto reagire. Prima del 24 febbraio, la diplomazia internazionale, compresa quella americana, dei “padroni”, aveva fatto di tutto per andare incontro a queste richieste, ma erano un inganno: le truppe russe erano già assembrate ai confini ucraini da settimane, pronte a entrare in azione. Da lì in poi tutte le invocazioni russe di compromessi e negoziati – anche la sera di Natale Putin ha detto di essere pronto a negoziare – sono apparse per quello che erano sempre state: false. Servono soltanto a dividere l’opinione pubblica occidentale, ad ampliare la propaganda russa che dipinge gli ucraini come dei guerrafondai (oltre che nazisti, drogati, satanisti) nella speranza che qualcuno ci caschi, soprattutto a casa dei “padroni” dove da gennaio il Congresso sarà a maggioranza repubblicana, quindi più condizionabile dalle pretese russe. 

 

Come è evidente, alla Russia basta smettere di bombardare l’Ucraina, di devastarla ogni giorno di più, per aprire la strada alla diplomazia, ma Putin invece insiste con la violenza e con il boicottaggio dei luoghi in cui si può negoziare un compromesso. Per questo ieri Kyiv ha inviato la sua richiesta formale per rimuovere la Russia dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il luogo in cui si prendono le decisioni vincolanti della più grande organizzazione internazionale che però non può funzionare in difesa dell’Ucraina fintanto che esiste il diritto di veto di Mosca – e della Cina. Kyiv dice che il seggio russo al Consiglio di sicurezza è stato usurpato dopo il collasso dell’Unione sovietica e chiede una riforma strutturale dell’Onu in modo che possa funzionare a difesa delle democrazie e contro i regimi, ancor più quelli invasori. È un processo lungo, ma come la falsità russa è sotto gli occhi di tutti così lo è, per la prima volta in modo tanto evidente, il suo sabotaggio del sistema che tiene insieme il mondo, e che era stato pensato proprio per difendere quella pace che Putin non vuole.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi