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Roma Capoccia

Passeggiata a Ostiense, davanti al cadavere del ponte crollato

Gianluca Roselli

L’inagibilità del ponte di ferro la s’intuisce già dalla fine del Lungotevere. Su via Marmorata, a Testaccio, il traffico è feroce in orario insolito

“Qui non si è visto ancora nessuno, nemmeno un ingegnere a fare un sopralluogo. Scontiamo il fatto che tutto è accaduto mentre una sindaca se ne va e uno deve ancora arrivare. Io ero lì, ho visto il ferro bruciare e difficilmente il ponte potrà essere recuperato. Se ne dovrà fare uno nuovo…”. Angelo Sonnino è l’ultimo discendente della famiglia che nel 1923 ha aperto il Lavatoio Lanario Sonnino, fabbrica di lavorazione della lana per i materassi dove lavoravano cento donne. Oggi la fabbrica non esiste più, al suo posto c’è il Gasometer Urban Suites, un hotel che anche nel logo riprende l’atmosfera “industrial” del quartiere, con gazometro stilizzato. “Non abbiamo avuto nessuna disdetta perché noi lavoriamo con una clientela business. Però guardi: qui a quest’ora del pomeriggio era tutto un passaggio di auto e ora non c’è nessuno”, fa notare Sonnino.

Sono passati 5 giorni dall’incendio che ha parzialmente distrutto il ponte dell’industria e l’umore del quartiere ostiense è plumbeo come il cielo di questo mercoledì, che promette pioggia. L’inagibilità del ponte di ferro la s’intuisce già dalla fine del Lungotevere. Su via Marmorata, a Testaccio, il traffico è feroce in orario insolito. Per arrivare qui adesso bisogna passare da Testaccio oppure allungare fino a Ponte Marconi. Una tortura.

 

“Sembra un’isola pedonale e invece le persone non vengono perché non sanno come raggiungerci”, dice Susi della Pescheria Ostiense dove, oltre a vendere pesce, da qualche mese lo si cucina pure. Una pescheria con cucina, ma non fighetta come quelle di Roma Nord e con prezzi accessibili. Poco più in là c’è il Porto Fluviale, locale nato nel 2012 che ha fatto diventare di moda una zona dimenticata. Il gazometro, i co-working, realtà artistiche come il Roma Europa Festival, il Teatro India e gli studi di design hanno fatto il resto, facendolo diventare il quartiere “più newyorkese” della Capitale, dopo che Ferzan Ozpetek gli ha regalato l’immortalità con Le fate ignoranti. “Il calo di clienti c’è stato, intorno al 30 per cento. Purtroppo, dopo i mesi di chiusura per Covid, quest’incendio proprio non ci voleva. Ma dicono che a gennaio forse riaprono…”, osserva speranzoso Oltion Gomezi, direttore del Porto Fluviale. “Restiamo il punto di riferimento del quartiere. I Maneskin sono venuti a pranzo da noi per una settimana. L’altro giorno c’era Darko Peric, l’attore serbo de La casa di carta”, racconta fiero Gomezi. Che però, forse per la giovane età, di Ozpetek non ha mai sentito parlare. Un po’ più avanti, nel nuovo bistrot Angelina, la novità non dispiace. “I nostri clienti si godono di più i tavolini all’aperto”, raccontano. Per il co-working sociale Industrie Fluviali (anch’esso all’interno dell’ex lanificio), dove non si lavora soltanto ma si organizza di tutto un po’ e rigorosamente a impatto zero (hanno le matite di mais), per ora è cambiato poco. “Ma la zona era in piena riqualificazione, luogo scelto per vivere o lavorare. E ora ci sarà una frenata…”, sostiene uno dei responsabili, Daniel Petruccioli. Nel corso degli ultimi anni qui è sorto un locale dietro l’altro. Forse troppi, e di bassa qualità. Magari rifare il ponte sarà l’occasione che ripensare anche Ostiense. Che ora sembra vivere tra due cadaveri: i magazzini generali, da una parte, e il ponte rotto, dall’altra. 

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