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Roma Capoccia

Cinque anni di Virginia, lo stato comatoso delle partecipate comunali

Gianluca De Rosa

Bilanci non approvati, amministratori che vanno via sbattendo la porta, continui cambi di indirizzo politico e gestionale. I casi Atac, Ama, Roma Metropolitane e Multiservizi

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Bilanci non approvati, amministratori che vanno via sbattendo la porta, continui cambi di indirizzo politico e gestionale. Tra le cose più criticate a Virginia Raggi c’è senza dubbio la gestione delle partecipate capitoline. A quasi cinque anni dall’inizio del mandato grillino a palazzo Senatorio, sindacati e opposizioni bocciano senza appello l’operato della giunta capitolina: sarà questo uno degli argomenti della manifestazione promossa lunedì sotto al Campidoglio, mentre in aula Giulio Cesare si discuterà l’ultimo bilancio previsionale dell’era Raggi. “Credo che il principale errore di Virginia Raggi sia stato quello di non riuscire a scegliere chiaramente verso quale direzione condurre le partecipate”, dice Giulio Pelonzi, capogruppo del Pd in Campidoglio. “Sia in giunta, sia in Assemblea – prosegue – sul tema delle partecipate ci sono state spesso opinioni divergenti tra chi voleva avviare una fase di chiusura e dismissione e chi invece sosteneva la strada del risanamento tenendo le aziende pubbliche”.

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Bilanci non approvati, amministratori che vanno via sbattendo la porta, continui cambi di indirizzo politico e gestionale. Tra le cose più criticate a Virginia Raggi c’è senza dubbio la gestione delle partecipate capitoline. A quasi cinque anni dall’inizio del mandato grillino a palazzo Senatorio, sindacati e opposizioni bocciano senza appello l’operato della giunta capitolina: sarà questo uno degli argomenti della manifestazione promossa lunedì sotto al Campidoglio, mentre in aula Giulio Cesare si discuterà l’ultimo bilancio previsionale dell’era Raggi. “Credo che il principale errore di Virginia Raggi sia stato quello di non riuscire a scegliere chiaramente verso quale direzione condurre le partecipate”, dice Giulio Pelonzi, capogruppo del Pd in Campidoglio. “Sia in giunta, sia in Assemblea – prosegue – sul tema delle partecipate ci sono state spesso opinioni divergenti tra chi voleva avviare una fase di chiusura e dismissione e chi invece sosteneva la strada del risanamento tenendo le aziende pubbliche”.

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La soluzione trovata, a sentire Pelonzi, è inesorabilmente subdola. “Si fa vedere che la partecipate così come sono non reggono per poi portarle al fallimento o alla privatizzazione”. Certo, in alcuni casi, in quasi fallimento Raggi le partecipate le ha trovate. È il caso di Atac, eredita dai grillini con oltre un miliardo di euro di passivi e bilanci in rosso da anni. Anche Bruno Rota stimato manager e già amministratore della milanese Atm, è fuggito a gambe levate dalla municipalizzata capitolina dove Raggi lo aveva chiamato per risolvere la situazione. Andando via disse: “Per questa azienda c’è solo la possibilità del concordato”. Rota se ne è andato, ma Virginia Raggi e Paolo Simioni (ora ad di Terna) che lo sostituì seguirono quella strada ed oggi Atac è in concordato. Il piano di risanamento ha ottenuto il via libera del Tribunale prima e dei creditori poi, e la scelta, almeno in parte, sembra aver funzionato: la sindaca e i suoi sui social lo ripetono come un mantra: “Abbiamo acquistato 550 bus ed entro il 2021 saranno 900 in più rispetto al passato”, svecchiando almeno in parte la malandata flotta della municipalizzata del trasporto pubblico.

 

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Qualsiasi impasse o mancato pagamento però può far fallire l’azienda: secondo una lettera dei commissari giudiziari di Atac riportata da Repubblica negli scorsi giorni, dei 130 milioni destinati al concordato nel 2020, mancavano all’appello 46 milioni. La pandemia e il crollo della vendita dei ticket proprio non ci voleva. Le vicende più assurde riguardano Ama e Roma Metropolitane. La municipalizzata dei rifiuti capitolini dall’insediamento in Campidoglio ha cambiato i vertici a un ritmo solo poco inferiore a quello con cui Virginia Raggi ha cambiato gli assessori della sua giunta. L’effetto (ma anche la causa di questi continui cambi) sono i consuntivi bloccati dal 2017 per un infinito braccio di ferro tra Campidoglio e azienda su una serie di partite creditorie. Il servizio intanto è al collasso. Dal 2016 in Ama non c’è stata neppure un’assunzione. Per Roma Metropolitane la delibera Colomban – 544 pagine per ridurre le partecipazioni dirette e indirette del Campidoglio da 31 a 11 aziende – prevedeva in prospettiva l’estinzione. L’azienda che fa da progettista e stazione appaltante per le opere trasportistiche si sarebbe dovuta occupare solo di metro C, mentre per il resto il compito sarebbe stato trasferito a Roma servizi per la Mobilità.

 

Questo non è accaduto, in compenso tra debiti, problemi e anche qui, continui cambi ai vertici, la società è finita in liquidazione, e oggi rischia di fallire. Lo ha scritto al Campidoglio nero su bianco il commissario liquidatore Andrea Mazzotto: servono 6 milioni entro il 31 gennaio, senza sarà fallimento. Un problema gigantesco che potrebbe fermare i lavori della metro C oltre che gli appalti per gli adeguamenti anti-incendio per le metro A e B che rischierebbero di chiudere. Infine, c’è la questione di Roma Multiservizi, l’azienda partecipata di secondo livello (è detenuta al 50 per cento da Ama) che gestisce l’appalto global service (per la pulizia delle scuole, la cura del verde, la sorveglianza e le mense). In campagna elettorale i grillini promettevano l’internalizzazione dell’azienda, arrivati a palazzo Senatorio invece la soluzione trovata è stata un’altra: una gara a doppio oggetto per cercare un socio privato che acquisti il 49 per cento di una nuova azienda al 51 per cento del Campidoglio che gestirà l’appalto. La scelta ha scatenato un contenzioso con Multiservizi che prosegue ancora oggi davanti alla Corte di Giustizia europea. Intanto Multiservizi continua a gestire in proroga il global service.

 

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