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roma capoccia

La Consulta blocca l’intera edilizia regionale. Una storia surreale

Gianluca De Rosa

“Ad oggi nella maggior parte del territorio c’è un blocco totale: non si può fare nulla”, dice l’avvocato Riccardo Delli Santi specializzato in questioni urbanistiche

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Altro che rigenerazione urbana. “Ad oggi nella maggior parte del territorio regionale c’è un blocco totale: non si può fare nulla”. E questo, spiega al Foglio l’avvocato Riccardo Delli Santi specializzato in questioni urbanistiche, il principale effetto della sentenza pubblicata il 17 novembre dalla Corte Costituzionale. La Consulta ha accolto il ricorso presentato lo scorso aprile dal Mibact e annullato il Piano territoriale paesistico regionale (Ptpr) del Lazio, una sorta di maxi-piano regolatore. “Nella pianificazione paesaggistica, le Regioni non possono fare da sole. Ma devono coinvolgere il MiBact”, hanno sancito i giudici costituzionali.

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Altro che rigenerazione urbana. “Ad oggi nella maggior parte del territorio regionale c’è un blocco totale: non si può fare nulla”. E questo, spiega al Foglio l’avvocato Riccardo Delli Santi specializzato in questioni urbanistiche, il principale effetto della sentenza pubblicata il 17 novembre dalla Corte Costituzionale. La Consulta ha accolto il ricorso presentato lo scorso aprile dal Mibact e annullato il Piano territoriale paesistico regionale (Ptpr) del Lazio, una sorta di maxi-piano regolatore. “Nella pianificazione paesaggistica, le Regioni non possono fare da sole. Ma devono coinvolgere il MiBact”, hanno sancito i giudici costituzionali.

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Di più: il Ptpr approvato dalla Regione Lazio è “improntato a un generale abbassamento del livello della tutela dei valori paesaggistici”. In particolare sono previste deroghe per realizzare strutture balneari su tutte le fasce costiere e vengono cancellate “specifiche prescrizioni di tutela” per il centro di Roma.

  

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L’effetto della sentenza sul 70 per cento del territorio laziale, tanto è esteso quello sottoposto a vincolo paesaggistico, è stato quello di fermare qualsiasi intervento urbanistico o architettonico. Il perché è scritto nero su bianco nelle argomentazioni presentate dalla difesa regionale alla Consulta: in caso di accoglimento del ricorso, sarebbero consentiti, ai sensi della legge regionale che nel ’98 stabilì la necessità di redigere il Ptpr, “i soli interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, risanamento, recupero statico ed igienico e restauro conservativo”. Uno scenario da evitare assolutamente, in particolare, citiamo sempre la difesa regionale “in un momento di grande necessità di rilancio per tutto il paese”.

  

“In questo momento – ci conferma l’avvocato Delli Santi – qualsiasi intervento modificativo è impossibile: un agriturismo vuole fare una piscina? Non può. Un’azienda agricola vuole buttare giù e rifare un fienile? E’ una ristrutturazione sostitutiva, nulla da fare”. Discorso analogo per chi vorrebbe tirare giù una vecchia palazzina per rifarla più efficiente, ma tale e quale, con le stesse volumetrie: impossibile. L’elenco potrebbe andare avanti a lungo. “Siamo di fronte ad un disastro urbanistico edilizio”, dice ancora Delli Santi. “Gli imprenditori del Lazio hanno aspettato più di 20 anni l’approvazione del piano territoriale paesistico perché la situazione era già intricatissima: dal 2008 i Ptp provinciali e quello regionale coesistono, si applica sempre la norma più restrittiva. Adesso, dopo questa sentenza, siamo andati oltre: sono consentiti esclusivamente interventi di manutenzione. In pratica non si può fare più niente”.

  

Ma perché un ministero guidato dal capo delegazione al governo del Pd (Dario Franceschini) e una Regione presieduta dal segretario dello stesso Pd (Nicola Zingaretti) non sono riusciti a trovare un accordo, evitando il contenzioso e i suoi devastanti effetti? Se lo chiede anche il presidente dei costruttori romani Niccolò Rebecchini: “Per il nostro settore significa fermare lavori già avviati: dove non arriva il Covid, arriva la politica”.

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Per provare a dare una risposta a questa domanda è forse necessario ripercorrere la vicenda decennale del Ptpr. La necessità di dotarsi di un documento simile fu stabilita con una legge regionale – la 24 del 1998 – che recepiva i piani di tutela provinciali esistenti e stabiliva i criteri da seguire per orientarsi nella normativa in attesa dell’approvazione del piano. Nel 2004 la normativa fu potentemente aggiornata dal Codice dei Beni culturali e del Paesaggio che ha sancito l’importanza del procedimento di co-decisione tra Regioni e Mibact per la redazione dei piani paesistici. Nel 2007 la Regione adottò il suo Ptpr adeguando i Ptp vigenti. In attesa dell’approvazione definitiva, però, (l’adozione è un atto propedeutico) il Ptpr ha assunto efficacia “in regime di salvaguardia” e cioè – come spiegato sopra – vale la norma più restrittiva tra quella e i singoli piani. Tra il 2015 e il 2016 un tavolo tecnico tra Mibact e Regione concordò il nuovo piano che però non arrivò mai in aula fino all’agosto del 2019. Il 5 agosto di due anni fa il consiglio regionale ha approvato un testo pesantemente modificato (da 4mila emendamenti) che allentava quanto concordato con il ministero. Il provvedimento però non fu pubblicato subito sul Bollettino unico regionale, si decise prima di riavviare il tavolo con il Mibact con lo scopo di ricevere e recepire eventuali indicazioni. Il 13 febbraio 2020 la giunta regionale quelle indicazione le ha approvate con una delibera da portare successivamente in Consiglio, ma – all’apparenza inspiegabilmente – lo stesso giorno ha pubblicato sul Bollettino regionale il Ptpr come approvato ad agosto 2019, senza quelle stesse integrazioni. Un colpo di mano. Così, il 17 aprile il Mibact ha notificato alla Consulta il ricorso per conflitto d’attribuzione.

  

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“Quella della Regione – dice l’avvocato Delli Santi – è stata una forzatura. La tutela dei beni culturali e del paesaggio è una materia esclusiva dello stato e quindi anche se la redazione dei Ptpr è delegata alle Regioni non può essere fatta senza sentire il ministero”. Perché allora questa decisione? Una parziale spiegazione si trova nelle scadenze e fa capire che la Regione potrebbe aver accelerato per evitare quello che, comunque, sta accadendo adesso, dopo la sentenza della Consulta: il 14 febbraio 2020 sarebbe scaduto il termine stabilito dalla legge regionale 24 del ’98 – sempre lei – per l’approvazione del piano.

  

Ma adesso che cosa accadrà? La Regione ha convocato un tavolo d’urgenza con il Mibact per concordare una circolare che dovrebbe spiegare a comuni e professionisti cosa fare. Dall’assessorato inoltre rassicurano: entro gennaio il Ptpr, adeguato alla sentenza della Corte costituzionale, sarà portato in Consiglio regionale per la discussione.

 

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