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RomaCapoccia

Quelle magnifiche "canaglie" della SS Lazio dei miracoli

Gianluca Roselli

In un libro di Angelo Carotenuto l’incredibile epopea di una squadra di scarti che nel giro di sei anni passa dalla B allo scudetto. E poi va in frantumi

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La foto di copertina dice già tutto. Si vede Giorgio Chinaglia uscire dallo spogliatoio della Lazio a Tor di Quinto con un fucile Winchester in mano. Gli piaceva sparare, al centravanti, che girava con una 44 magnum infilata nei calzoni, come ad altri di quella squadra: così fece realizzare un poligono improvvisato al campo di allenamento. Il libro di cui vogliamo parlare si chiama “Le canaglie” (quasi una paronomasia con Chinaglia), pubblicato da Sellerio, e l’ha scritto un giornalista sportivo, Angelo Carotenuto, che è napoletano e non tifa Lazio. Racconta l’incredibile epopea di una squadra che, con giocatori in apparenza di seconda scelta, scarti di altre squadre, nel giro di 6 anni sale dalla serie B alla A nel 1971, sfiora lo scudetto nel 1972, lo vince nella stagione 1973/74, arriva quarta l’anno dopo e poi va in frantumi.

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La foto di copertina dice già tutto. Si vede Giorgio Chinaglia uscire dallo spogliatoio della Lazio a Tor di Quinto con un fucile Winchester in mano. Gli piaceva sparare, al centravanti, che girava con una 44 magnum infilata nei calzoni, come ad altri di quella squadra: così fece realizzare un poligono improvvisato al campo di allenamento. Il libro di cui vogliamo parlare si chiama “Le canaglie” (quasi una paronomasia con Chinaglia), pubblicato da Sellerio, e l’ha scritto un giornalista sportivo, Angelo Carotenuto, che è napoletano e non tifa Lazio. Racconta l’incredibile epopea di una squadra che, con giocatori in apparenza di seconda scelta, scarti di altre squadre, nel giro di 6 anni sale dalla serie B alla A nel 1971, sfiora lo scudetto nel 1972, lo vince nella stagione 1973/74, arriva quarta l’anno dopo e poi va in frantumi.

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Una fiamma luminosissima del calcio italiano che, forse per eccessiva luce, si è bruciata troppo presto. “Mai si era vista in Italia una squadra così divisa in clan, con due spogliatoi differenti, persone che non si parlavano e in allenamento se le davano di santa ragione. Ma la domenica tornavano a essere una squadra unita che vinceva e giocava un magnifico calcio moderno”, spiega Angelo Carotenuto. Da una parte il clan di Chinaglia e Pino Wilson, dall’altro quello di Luigi Martini e Luciano Re Cecconi. E tutti, da Mario Frustalupi a Vincenzo D’Amico, schierati sui due fronti. Si detestavano per tutta la settimana e alla partitella d’allenamento del venerdì accorrevano tifosi da tutta Roma, tante se ne davano.

 

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Venivano anche tifosi vip e volevano giocare: Nicola Pietrangeli, Enrico Montesano, il figlio del presidente Leone. Poi la domenica accadeva il miracolo, grazie a Tommaso Maestrelli, che della squadra era allenatore, ma faceva pure da padre a quei ventenni scapestrati. Si è detto e scritto tanto di quella Lazio: squadra balorda, squadra di matti, squadra fascista. Genio, sregolatezza e adrenalina. Ma la marcia in più del libro è il legame profondo con la città. Una Roma stracciona e sontuosa, cafona e suadente, feroce e dolcissima. Una città dominata dalla violenza e dalla morte, ma anche viva di energia purissima: c’erano le risse, gli omicidi, le manifestazioni, ma pure l’arte (era la Roma di Mario Schifano) e la letteratura.

 

Strafottente, come quella Lazio, sempre pronta a divertirsi e a giocarsi tutto. Sesso, scazzottate e fughe dal ritiro per andare a rimorchiare in discoteca. Quattro dischi e un po’ di whiskey. La voce narrante è inventata: a raccontare è Marcello Traseticcio, fotografo di cronaca e sport, che diventa il fotoreporter della squadra, figura ispirata a un fotografo vero, Marcello Geppetti. Che in uno dei primi servizi immortala Chinaglia al Jackie O’ mentre prende a pugni un tizio che ci aveva provato con sua moglie. Lo scatto più famoso, però, è quello di Giorgione col dito puntato contro la Sud dopo aver segnato alla Roma nel derby di ritorno del campionato 73/74, quello dello scudetto, che verrà vinto nel giorno in cui l’Italia vota per abolire il divorzio.

 

Per tutta risposta i tifosi romanisti per due anni vanno a far casino sotto le finestre degli hotel dove i biancazzurri sono in ritiro, per non farli dormire. Si sparava di giorno e si facevano le ore piccole al Piper e al Jackie in quella Roma luccicante e spaccona. E sfrontato e fragile era Chinaglia. Che, dopo il vaffa al ct azzurro Valcareggi ai Mondiali del 1974 in Germania, viene sistematicamente fischiato in ogni stadio d’Italia. “Buffone! Fascista!”. “Ne soffriva così tanto che, per abituarsi, in allenamento fece montare un altoparlante coi fischi e, al contempo, prima delle partite mandava sempre un gran mazzo di fiori ai tifosi della squadra avversaria”, racconta Carotenuto.

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La storia romanzata della squadra si snoda tra i fatti di cronaca: il rogo di Primavalle, le botte tra rossi e neri, i colpi di pistola nelle manifestazioni, l’uccisione dei magistrati Coco e Occorsio, l’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Ma davvero quella Lazio era fascista? “Solo Martini dichiarò di votare Msi. Altri si dicevano democristiani, Garlaschelli era radicale, Frustalupi socialista”. A differenza di oggi, però, i giocatori non nascondevano le loro simpatie politiche. “Erano persone molto più integrate nella società rispetto ai giocatori odierni, che vivono in una bolla fatta di ricchezza e privilegi”, spiega l’autore. Erano persone quasi normali: in pochissimi avevano ingaggi superiori ai 100 milioni di lire, vivevano in case ordinarie e sposavano ragazze semplici, magari l’ex compagna di scuola.

 

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Importante, nel libro, anche il linguaggio, con espressioni che restituiscono al romanesco una nobiltà che piacerebbe ad Aurelio Picca. “Usavano il romanesco due ‘forestieri’ come Gadda e Pasolini. Ho voluto rendere omaggio a una lingua alta, che in questi anni si è voluto ridurre a macchietta televisiva”, dice Carotenuto. Maestrelli morirà di cancro nel 1976, Re Cecconi verrà ucciso nel 1977 in quella “finta” rapina in una gioielleria del Fleming (la vicenda è oscura ancora oggi), mentre Chinaglia andrà a portare il verbo del calcio in America, in quei Cosmos di New York dove giocavano pure Pelè e Beckenbauer.

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