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RomaCapoccia

La prima notte del Dpcm tra i locali di Trastevere

Gianluca Rosselli

Come funziona la chiusura a mezzanotte? "Criminalizzano un settore", dicono i titolari dei bar che vivono di movida 

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Roma. C’è chi si arrabbia e si dispera. Chi accetta a malincuore. E pure chi tira un sospiro di sollievo. Sì, perché il terrore, non del tutto scongiurato per il futuro, era di una chiusura alle 20. Se non addirittura di un nuovo lockdown, come ha ipotizzato il noto virologo Andrea Crisanti. Siamo a Trastevere, martedì sera. Tra poche ore, a mezzanotte, scatterà il nuovo Dpcm del governo Conte sugli orari dei locali: tutti chiusi a mezzanotte e divieto di vendere bevande a portar via dalle 21. L’obbiettivo è quello di evitare gli assembramenti notturni. La Capitale, del resto, è famosa per questo: se a Milano si sta nei locali, a Roma si sta più per strada. Un bicchiere in mano, un sigaretta, quattro chiacchiere e la serata è fatta. Ora che i contagi stanno salendo, ecco una nuova mannaia per un settore già in crisi, sia per i mesi di lockdown, sia per quelli successivi, con incassi quasi dimezzati.

 

Noi incassiamo molto meno rispetto al pre-Covid e con questa ulteriore stretta perderemo un altro 30 per cento, che è quello che incassavo da mezzanotte alle due”, racconta Riccardo, uno dei soci di Freni e Frizioni, punto di riferimento per tanti ragazzi. “Ce la mettiamo tutta per rispettare le regole ma la sensazione è che poi non basta mai. Qui a Trastevere l’assenza di turisti ha fatto crollare gli incassi durante il giorno. E ora si va a colpire l’after dinner, che per noi è fondamentale. Come se i contagi dipendessero da questo. Ma io vedo assembramenti ovunque: sui mezzi pubblici, sui treni, davanti alle scuole… Insomma, qui si vuole criminalizzare un settore”, aggiunge sconsolato Riccardo.

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Una settimana fa, a pochi passi da qui, per mancato rispetto delle regole hanno chiuso il Coffee Pot, altro locale noto. Ora ha riaperto e siamo lì davanti. Arrivano 7 persone. “Mi dispiace, siete in troppi, non posso fare un tavolo unico, se volete due ben separati…”, dice il ragazzo alla porta. E’ martedì e non c’è molta gente in giro. Qualche gruppetto di ragazzi, coppie di amici o fidanzati che si fanno un bicchiere prima di tornare a casa. Qualcuno si bacia. Una signora inveisce contro i vigili per la multa: stava senza mascherina. Chi lavora nei locali si gode l’ultima sera di libertà. “Ma il Dpcm parte da stasera o da domani?”. I ristoranti si lamentano meno, perché per loro la chiusura a mezzanotte è più gestibile. “Ma non c’è da stare allegri. A parte che per chiudere a mezzanotte devo far alzare i clienti alle 23.30, il problema è il clima di tensione nella testa delle persone. Io avevo gente che veniva a cena pure alle 22 e si godeva la serata, ora non sarà più possibile, dovrò fare un turno solo”, racconta una ristoratrice. “Noi ci adeguiamo, chiudevamo all’una, perderemo solo un’ora. Visto l’andazzo abbiamo deciso di puntare molto sull’aperitivo.

 

Ma a spaventare di più è il fattore psicologico: tutti questi divieti favoriscono un clima di paura che porta le persone ad avere meno voglia di uscire di casa. Lo abbiamo visto anche in questi mesi: la gente esce di meno”, osserva Massimiliano, uno dei soci del Chakra Cafè, in piazza Santa Rufina. La mazzata sul settore sarà pesante. Secondo i dati di Fipe Confcommercio, ogni giorno si perderanno 843 mila euro, di cui 473 mila per bar e locali e 370 mila per ristoranti e pizzerie. Solo a Roma ci sono 5 mila aziende a rischio, per un totale di 20 mila dipendenti. “Mi togliete le bevande d’asporto dopo le 21? Va bene. Ma fatemi lavorare con i clienti seduti e distanziati fino alle 2. Sarebbe stato meglio lasciare gli orari normali facendo qualche controllo in più. La sensazione è che, siccome non ti posso controllare, allora ti chiudo”, sostiene Marco, titolare del Samovar, in piazza San Calisto. Come dire: siccome non sono in grado di mettere in strada più autobus, allora riduco la capienza, lasciando la gente per strada, ovvero ciò che si prospetta nelle prossime ore. Si cura il sintomo (il bus affollato) e non la malattia (la mancanza di bus).

 

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“E poi vogliamo parlare dei controlli? Arrivano in massa con un atteggiamento molto punitivo tipo forze speciali quando invece basterebbe una sola pattuglia ogni sera, magari il vigile di quartiere, che si pone in modo amicale e non repressivo”, aggiunge Marco. Dall’altra parte della piazza c’è il mitico Bar San Calisto, un’istituzione per intere generazioni di ragazzi, trasteverini e non. Un simbolo della romanità. Marcello Forti, il titolare, ha 74 anni ed è qui da 51. “Perdiamo un’ora di incassi, ma che dovemo fa’. Ci s’adegua. Basta che ce fanno lavora’ e non richiudono tutto come prima. Noi le regole le rispettiamo e i ragazzi che vengono qui pure. Per evitare gli assembramenti stiamo chiudendo alle 11 il venerdì e il sabato. Ma noi lavoriamo tutto il giorno, capisco chi invece punta di più sulle ore serali…”.

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Ci spostiamo in un’altra istituzione trasteverina, l’Enoteca Ferrara. “Noi lavoriamo molto col ristorante. Però qui si passava molto anche dopo cena, per un bicchiere, quattro chiacchiere…”, dicono. La luna cala su Ponte Sisto. “Questa è Trastevere, speriamo non diventi Tristevere…”, sussurra un signore di una certa età che ascoltava i nostri discorsi, azzeccando il calembour, mentre infila le chiavi nel portone.

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