PUBBLICITÁ

Roma Capoccia

Gran Hotel Covid: lucchetti a via Veneto

Gianluca De Rosa
PUBBLICITÁ

Una cornacchia zampettando ruota la testa a destra e sinistra davanti ai cancelli chiusi, quasi emulasse lo stupore dei passati turbati dalla desolazione scura di quel grande e fastoso palazzo serrato, quasi luttuoso. Il Grand Hotel via Veneto, 116 tra stanze e suite in stile Art Déco “adattato al gusto moderno”, è solo uno degli oltre 500 alberghi della città che hanno deciso di non riaprire o ci hanno provato, fallendo, dopo il lockdown. Numeri enormi se si considera che nella Capitale gli hotel sono 1.200. Una folla di 120mila posti letto rimasta orfana dei corpi rilassati di turisti americani, russi, cinesi, coreani ed arabi. Tutti bloccati dal quasi stop ai voli, dalle quarantene obbligatorie (all’arrivo al ritorno) e, non da ultimo, dalla paura. “Almeno fino al 2023 non ci sono speranze di tornare alla normalità”, dice al Foglio Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi e titolare di tre hotel in città che ricorda come a Roma ogni 100 presenze negli alberghi ci siano 72 turisti stranieri, per lo più extraeuropei. “Molti – dice – hanno riaperto a settembre, ma molto probabilmente richiuderanno alla fine di ottobre, perché purtroppo i flussi non sono aumentati, la situazione tornerà alla normalità solo nel 2024”.

PUBBLICITÁ

 

Anche senza i turisti, comunque, a via Veneto si respira aria internazionale. All’Hotel Palace, il palazzo che vanta all’interno gli affreschi di Guido Cadorin, il tasso di riempimento è il linea con la media della città, 10/15 per cento. “Principalmente sono italiani, ma ci aiuta un po’ il via vai dall’ambasciata (l’americana della dirimpetto villa Margherita ndr)”, spiega il concierge. Poco più sotto sono chiusi l’hotel Ambasciatori che ne ha approfittato per lavori di ristrutturazione e il Majestic, mai aperto dopo il lokdown. Hanno ripreso a girare a settembre, invece, le porte del Westin Excelsior, l’albergo liberty progettato a inizio novecento da Ottone Maraini, la cui cupola è tra i simboli della via delle Dolce vita. Anche se mai così simbolici sono stati i volti sofferenti delle quattro cariatidi che sorregono l’ingresso. Ma reggere la baracca, nonostante i bassissimi arrivi e le 316 stanze e suite rimaste quasi vuote, più che loro sono i petrolmilioni del gruppo qatariota, Katara ospitality, che ha acquistato l’hotel nel 2015 per 222 milioni da Starwood, dandolo in gestione alla società americana Marriott. Destino simile toccato l’anno prima al St Regis di via di via Vittorio Emanuele Orlando. Acquistato per 110 milioni dall’emiro del Qatar Al Thani e dato in gestione all’azienda americana. Qui però si è scelto di non chiudere mai. Ci spiega il congierge: “Il lockdown è arrivato proprio dopo i lavori di ristrutturazione, certo anche adesso lavoriamo a turni e non riempiamo mai oltre il 15 per cento” delle oltre 200 stanze. Sempre gestione Marriott, ha riaperto a giugno un altro degli storici alberghi di via Veneto, il Flora, nel ’43 sede dell’alto comando della Gestapo dove i gappisti fecero esplodere 4 bombe. A un passo da piazza Venezia, via di Sant’Eufemia, è chiuso l’hotel Cosmopolita, palazzo ottocentesco costruito dalla famiglia del Grillo (quella del marchese Onofrio), dal 1909 pensione nazionale, gestito dall’89 da Walter Pecoraro. “A giugno ho provato a riaprire e a fronte di 26mila euro di bollette, ho avuto 20 prenotazioni”. Una situazione insostenbile, anche perché Pecoraro è solo gestore e non proprietario dell’albergo, che lo ha costretto a chiudere nuovamente.

 

PUBBLICITÁ

In Italia circa la metà degli hotel è gestita in locazione, nelle grandi città come Roma la percentuale sale oltre la metà. “Sembra incredibile, ma i proprietari sono meno comprensivi delle banche. Offrono riduzioni del 10-15 per cento dei canoni, ma i nostri fatturati sono praticamente azzerati”. Pecoraro paga l’anno 1,2 milioni di euro. “E’ chiaro che se le mura fossero mie il problema sarebbe minore, potrei almeno aprire a singhiozzo nei periodi in cui ci sono prenotazioni. Servono risorse a fondo perduto”. Hanno riaperto, con personale ridotto, invece all’hotel Forum, alla salita del Grillo, l’ex convento di frati domenicani a un passo dai Fori, da qualche anno palazzo di paragoverno grillino dopo che Beppe Grillo lo ha eletto a sua residenza romana. E saranno i tempi che corrono, ma lo stesso destino non è toccato a un altro hotel che l’immaginario lega alla politica, il Raphael. Dove un tempo un rampante Silvio Berlusconi sorseggiava cocktail con Bettino Craxi (prima delle tristemente note monetine), sotto l’edera copiosa la porta dell’albergo è ancora chiusa. Una sorte condivisa da quello che, a dir la verità, è attualmente l’albergo di governo per eccellenza. Quello del suocero del premier Conte, il Plaza Hotel di via del Corso, proprietario Cesare Paladino, papà della bella Olivia. Anche qui una pesante catena all’ingresso fa capire che non si riaprirà per un bel po’.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ