Eduard Limonov

Edvard Limonov, un improbabile agit-prop nella nuova Russia

Mauro Martini

Di certo ha cambiato aspetto fisico. Negli anni Ottanta si aggirava per l’Occidente notevolmente più in carne, i capelli considerevolmente più lunghi e un paio di occhialetti tondi e senza montatura che gli dovevano conferire un’aria da intellettuale

Di certo ha cambiato aspetto fisico. Negli anni Ottanta si aggirava per l’Occidente notevolmente più in carne, i capelli considerevolmente più lunghi e un paio di occhialetti tondi e senza montatura che gli dovevano conferire un’aria da intellettuale. Solo che all’epoca Edvard Veniaminovich Savenko in arte Limonov era uno scrittore quarantenne dell’emigrazione sovietica, già autore di un controverso romanzo, “Sono io, Edichka”, che con il programmatico sottotitolo “Il poeta russo preferisce i grandi negri” accumulava traduzioni su traduzioni (una quindicina in tutto) nell’Occidente incuriosito dall’esistenza di un russo dichiaratamente omosessuale e per di più abile nell’infarcire di turpiloquio la sua indecifrabile prosa.

 

Oggi che ormai veleggia verso la sessantina Limonov è molto più asciutto, soprattutto in volto, non porta più gli occhiali e si è tagliato i capelli corti. Sfoggia insomma un aspetto più consono al suo nuovo ruolo, quello di presidente del Partito nazional-bolscevico russo e di direttore dell’organo del medesimo partito, un quotidiano che vanta una modesta tiratura e si intitola alla “limonka”, un tipo di bomba a mano. Scattante, sempre polemico, quasi ringiovanito, Limonov si accolla da ben sei anni l’arduo compito di inventarsene almeno una al giorno per cercare di scandalizzare l’opinione pubblica e di assicurare uno spazio al suo partitello che ovviamente non può contare sui grandi numeri. E non si può dire che non si dia da fare: una delle ultime trovate, in autunno, era stata la celebrazione pubblica del ventesimo anniversario della fondazione delle italiane Brigate Rosse, indicate come un possibile modello di azione nell’ambito della Russia di Putin. Un’esaltazione del terrorismo alquanto stravagante, ma tant’è: il Partito nazional-bolscevico della Russia postsovietica vive del culto di un unico principio, quello della violenza. Sotto questo aspetto il partito si identifica strettamente con il suo fondatore che già una ventina d’anni fa, nel 1982, ebbe modo di stupire i suoi non pochi fan con un romanzo inquietante, il “Diario di un fallito”. Era la descrizione dell’homo violentus nella sua forma più pura: quella incarnata nell’emigrato dall’Unione Sovietica che guarda dall’esterno, con una buona dose di rabbia, quel mondo occidentale da cui si sente irrimediabilmente escluso.

 

Allora il libro suscitò polemiche a non finire: tutto il variegato mondo degli émigré dall’Urss si sollevò contro quello scrittore che denunciava, e qui stava la colpa principale, la voglia frustrata di integrazione invece di perpetuare l’immagine dell’intellettuale pensoso delle sorti della madrepatria. Su Limonov piovvero le accuse di essere in realtà un agente provocatore del Kgb, di esser stato infiltrato in Occidente allo scopo di screditare i dissidenti. All’epoca soltanto Andrej Sinjavskij levò la propria voce in difesa del bersagliatissimo Edichka, esaltandone il valore letterario e la capacità di svecchiare la lingua russa attraverso la volgarità estrema. Non servì a molto: i padri nobili del fuoriuscitismo continuarono ad accanirsi contro Limonov. Probabilmente avevano ragione: non era del tutto da escludersi l’eventualità che avesse qualche torbido legame con i Servizi segreti di Mosca. Anche se la molla principale dell’avversione era la facilità con cui quell’arrogante quarantenne, per di più omosessuale dichiarato, spuntava edizioni occidentali dei suoi romanzi. Ma aveva ragione anche Limonov, quando contrattaccava sostenendo che la letteratura del dissenso viveva esclusivamente come funzione del mondo sovietico e che, sparita l’Urss, molte di quelle opere avrebbero perduto significato. L’unica impresa originale, sosteneva Edichka, era quella di accettare il postmodernismo occidentale e tradurlo nella sua variante russa.

 

Limonov ha fatto di tutto per appiccicarsi l’etichetta di scrittore maledetto, magari aggiungendo un pizzico di bohème. Della prima giovinezza, trascorsa a Charkov, si sa che fu improntata a precoce criminalità, con grave scorno del padre, il rigoroso ufficiale dell’Armata rossa Veniamin Savenko. La prima impresa risale ai quindici anni: rapina a un negozio. La carriera, puntellata da una serie di fermi di polizia, si è protratta per cinque anni. Ma il periodo più affascinante della vita di Limonov, roso dall’ambizione di primeggiare in quella letteratura verso cui scopre una vocazione solo a ventidue anni, è senz’altro il suo assalto alla conquista di Mosca. Ci prova una prima volta nel 1966: è un giovane di provincia come mille altri e per di più non sa come procurarsi la propiska, il permesso di soggiorno indispensabile per risiedere nella capitale. In un anno dimagrisce di ben undici chili e il suo pellegrinaggio per le redazioni delle principali riviste letterarie non gli frutta granché. Gli consente soltanto di offrirsi come pantalonaio per sbarcare il lunario: cucirà calzoni per i protagonisti della vita culturale moscovita, come il poeta e cantante Bulat Okudzhava e lo scultore Ernst Neizvestnyj. Lavori occasionali e di scarso guadagno, talmente scarso che Limonov è costretto ad abbandonare la capitale e rifugiarsi nella più confortevole provincia, dove riprende a dedicarsi a tutti i mestieri possibili e immaginabili.

 

Il secondo tentativo è più fruttuoso: nel 1967 l’arrembante Edichka rispunta a Mosca. Ammaestrato dall’esperienza, non tenta la scalata all’establishment letterario e si tuffa invece nel vivacissimo underground, dove con la benevolenza delle autorità la vodka scorre a fiumi e si coltiva uno stile di vita sempre spinto al limite. Il modello per tutti è l’alcolizzato Venedikt Erofeev, Venichka per gli amici, scrittore eccessivo in ogni sua manifestazione che sta lavorando a “Mosca sulla vodka”, poema di demolizione dell’intera antropologia sovietica. Per il giovane provinciale è l’ambiente ideale: non vi è traccia del moralismo dei dissidenti e nemmeno si parla di politica o di ideologia. L’opposizione è un fatto esclusivamente esistenziale, si combatte la convenzionalità borghese senza mettere in discussione la sostanza del regime. È negli anni dell’underground che Limonov scopre la sua bisessualità, di cui si farà sempre un gran vanto: sostiene che della donna preferisce il corpo, mentre dell’uomo la stupidità, “così è più facile entrare in confidenza”. Si conoscono quattro sue grandi storie d’amore con donne.

 

Quella che più lo ha segnato è stata con Natal’ja Medvedeva, cantante e narratrice. La relazione è finita nel ’95 e non è finita bene, se lei si è sentita di commentarla così: “Limonov ha questa tendenza: se tu stai con lui anche la tua merda è bellissima, se non stai con lui allora la merda sei tu”. Per vincere l’amarezza l’intraprendente Edichka ha subito lanciato dalle colonne del suo giornale un concorso per la più bella fanciulla di Russia. Premio in palio: una notte d’amore con il direttore del quotidiano, vale a dire lui stesso. Non c’è stata una gran ressa di concorrenti, ma l’uomo ha un suo fascino e piace lo stesso. Così, mentre la Medvedeva si è messa a girare la Federazione come voce di un gruppo rock assai quotato, i Korrosija Metalla, lui si è accasato con una men che trentenne di gradevole aspetto, Elizaveta Bleze. Dotato di scarsa attitudine alla paternità (si vanta di avere “probabilmente” due figli mai visti né conosciuti), Limonov non ha mai fatto mistero delle sue propensioni omosessuali, esplicite fin dai tempi dei “grandi negri” del romanzo che raccontava i primi anni della sua emigrazione statunitense.

 

Di sicuro uno psicoanalista avrebbe molto da dire sulle suggestive connessioni tra le preferenze sessuali di Edichka e la sua passione per tutto ciò che è militare. Una passione spinta al punto di dichiarare che il suo profumo preferito è quello delle caserme, degli stivali e dell’olio da macchina. Limonov ha organizzato il partito in forma paramilitare, scovando uniformi che mettono insieme pezzi della tradizione zarista e di quella sovietica. Una parodia di esercito votato solo alla dimensione estetica e alieno a quella organizzativa. Caratteristica che non piace ai militari di professione: né a quelli serbi, che nel ’94 si sono visti arrivare sulle colline sopra Sarajevo i volontari nazional-bolscevichi accorsi a sparare contro i musulmani assediati in città; né a quelli dell’Armata russa che devono frenare gli uomini di Limonov spediti ad arginare l’offensiva dell’Islam in Cecenia e nel Caucaso.

 

A Edichka piace accreditarsi di un’immagine bellicosa. Nel ’93 si recò con gran mistero nell’ex Jugoslavia per prendere contatti con i “partigiani” serbi. Al suo ritorno a Mosca mise in giro voci sulla sua partecipazione ad azioni di guerra, probabilmente limitate al semplice contagio di sifilide, subito celebrata come “la più guerriera delle malattie”. Nel ’95 ha cercato di organizzare un campo di addestramento ai confini con l’Ucraina per intervenire in appoggio di un mai esistito movimento di partigiani russi in Crimea: l’iniziativa andò in fumo perché gli scappò di vantarsene nel corso di una conferenza stampa cui si era presentato solennemente ubriaco. Limonov adora trovarsi al centro di situazioni di grande conflitto. Nelle tavolate che organizza servendo piatti cucinati con le sue proprie mani (cotoletta con maccheroni la sua pietanza preferita), ama ricordare il modo in cui ottenne la cittadinanza francese nel 1987: scatenò i giornali di sinistra, lui che era un collaboratore assiduo del destrorso Choc du mois, contro il parere negativo del controspionaggio che aveva raccolto le voci, e forse anche qualche prova, dei suoi legami con il Kgb. In fin dei conti lo stesso Partito nazional-bolscevico è nato solo perché nel 1994 non gli è riuscito di mettere attorno a uno stesso tavolo tutti gli estremisti di destra e di sinistra. E non gli riuscì perché all’ultimo minuto i comunisti si rifiutarono di siglare l’accordo, dimostrando un certo acume.

 

Difficile capire perché Limonov si sia messo in proprio. Le sue idee politiche sono elementari: la Russia deve tornare alla perduta potenza e a tal fine è essenziale ritrovare la dimensione territoriale più ampia e “imperiale”, riconquistando tutte le città, soprattutto ucraine, in cui la popolazione russa supera il 50 per cento. Missione finale del Risiko è diventare un “impero continentale” da Vladivostok a Gibilterra. E va bene che il programma del suo partito è stato scritto da un geopolitico, Aleksandr Dugin, ma i mezzi proposti per conseguire gli obiettivi prefissati sono di una semplicità disarmante. Quando fu espulso dall’Estonia, dove aveva organizzato una manifestazione piuttosto turbolenta, Edichka non trovò di meglio da comunicare agli agenti che lo accompagnavano all’aeroporto che la sua intenzione di tornare presto: non da solo, ma bordo del primo carro armato russo d’occupazione.  In realtà Limonov non ha bisogno di strumenti politici troppo raffinati. La base del suo Partito nazional-bolscevico, che comunque non arriva mai al 2 per cento dei voti, pesca nelle aree di disagio giovanile urbano già organizzate in tribù separate: anarchici, punk, skin head, rockettari, tifoserie calcistiche. Non a caso alla creazione del partito hanno contribuito alcuni idoli della controcultura giovanile, come il musicista Sergej Kurechin e il cantante punk Egor Letov. A queste bande, che per conto loro coltivano il mito della violenza, Limonov offre una giustificazione ideale e politica di più ampio respiro, ma talmente generica e irrealizzabile da non far perdere di vista il fatto che i propri malesseri è meglio sfogarli subito, garantendosi con la forza gli spazi per professare un radicale antagonismo.

 

Nessuno meglio di Edichka era in grado di raccogliere gli umori di questa insoddisfazione e di darle voce. E in fin dei conti il “fallito” degli anni americani già prefigurava la rabbia di chi per cultura e per povertà non riesce a integrarsi nel consumismo occidentale. Può anche darsi che Limonov sia un prodotto del Kgb: ma con gli anni si è costruito una biografia all’altezza del compito. Edichka il bisessuale che concepisce i rapporti sessuali come atti di forza, lo scrittore che proclama di essere affascinato dalla forza militare, il vate dell’eterna e potente Russia che dirige un quotidiano di controinformazione che più alternativo non si potrebbe, il narratore di successo che ha abbandonato la letteratura per la politica: se non ci fosse, Limonov bisognerebbe inventarlo.

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