Gadda da Don Lisander

Maurizio Crippa

Oggi a Casa Manzoni si incontrano due grandi lombardi. Un “garbuglio” con molte scoperte

Ci sono pochi luoghi a Milano che conservino la storia, e il suo senso, come quel “palazzetto in contrada del Morone”, all’angolo con piazza Belgioioso che allora si chiamava di San Martino in Nosiggia, che Don Lisander acquistò nel 1813, al prezzo di lire 107 mila. La Casa del Manzoni. Ristrutturata e riorganizzata per studiosi e visitatori (non solo scolaresche) approfittando del magic moment di Expo 2015 e del generoso sostegno di Intesa Sanpaolo, motore molto mobile di quel che si muove nella cultura non solo milanese, Casa Manzoni è oggi, nella parte museale, una delle cose da vedere, a Milano. Nella parte delle attività culturali, oltre agli studi specialistici, Casa Manzoni ha un bouquet di offerte sempre d’interesse, per cultori manzoniani ma non soltanto. Oggi ad esempio, con il Circolo dei lettori di Milano e l’editore Adelphi, alle 18 e 30 si parla di “Due grandi lombardi”, che sono ovviamente Don Lisander e Carlo Emilio Gadda, intrecciati in singolar tenzone nell’Apologia manzoniana, il saggio geniale e lombardissimo sui Promessi sposi che l’Ingegnere scrisse nel 1924, per la rivista Solaria, e che Adelphi ha appena ripubblicato nei saggi compresi in Divagazioni e garbuglio (Marina Valensise ne ha scritto sul Foglio del 7-8 settembre scorso).

 

A metterli a confronto due accademici di gran bravura, Angelo Stella, manzonista e oggi presidente del consiglio direttivo del Centro nazionale di Studi manzoniani (che ha ovviamente sede qui) e Claudio Vela, specialista di Gadda, filologo e ora impegnato con Giorgio Pinotti e Paola Italia nell’impresa della nuova edizione delle opere di Gadda in corso per Adelphi. L’appuntamento si annuncia interessante, perché due tipi umani e letterari così distanti, e figli di una sola città, è difficile immaginarli. Almeno osservando dal di fuori. Eppure l’Ingegnere del Conte era appassionato cultore e non si contano i riferimenti, persino i calchi manzoniani nelle sue opere (anzi: i filologi li hanno ovviamente contati). E arrivò, più tardi negli anni, era il 1960, a farne una furiosa difesa, lui agnostico a dir poco, per il Romanzo e persino per il suo cattolicissimo contenuto. Avvenne quando, 1959, Alberto Moravia firmò per una preziosa edizione Einaudi dei Promessi sposi una introduzione, imbevuta dello spirito del tempo. Gadda firmò una recensione per il Giorno, dedicandosi al saggio dello scrittore romano, Alessandro Manzoni o l’ipotesi di un realismo cattolico. E se la prese, lui che lo spirito del tempo lo detestava, con il pregiudizio anticattolico, con i giudizi politici sul Manzoni conservatore: “Incriminare, sia pure tra sostanziali riconoscimenti, un signore milanese nato nel 1785 e operante fra il Congresso di Vienna e il Quaranta, di non aver condotto il suo romanzo avendo riguardo alle istanze mentali o alle situazioni di diritto del 1959” era troppo, per lo spirito caustico di Gadda. E anche le accuse di pensiero borghese (era aristocratico, non borghese) mosse da Moravia vengono passate a fil di penna: “Si avventa, per eccessi dialettici, contro il Manzoni quietista, contro il Manzoni presunto aedo della non-rivoluzione, cioè della paura conservatrice identificata nella ‘corruzione’ borghese della società italiana e cattolica”, quando invece “proprio quel signore milanese ha romanzato per primo nei poveri, negli umili, negli incorrotti o nei fatalmente oppressi i risorgenti protagonisti della storia umana”.

 

Il Gadda dell’Apologia, per tutta la sua vita, di Manzoni fu invece fedelissimo lettore, e ammiratore proprio di quel modo romanzesco in cui “con un disegno segreto e non appariscente egli disegnò li avvenimenti inavvertiti”. E per quella sua capacità di “esprimere le cose vere delle anime con le vere parole”, come nota, magnificamente, a proposito del personaggio di Lucia, “ragazza del popolo, sia pure un po’ timida e ombrosa”. Una capacità di realismo e di vicinanza al vero in cui la suggestione di Gadda univa il racconto secentesco del Conte illuminista con la luce e le immagini della pittura barocca di un altro gran lombardo, Caravaggio.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"