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I cacciatori di cinghiali andrebbero pagati, altro che tassati

Camillo Langone

Io la mia parte per debellare la minaccia l’ho fatta (ho mangiato arrosto di cinghiale), adesso il governo deve fare la sua, a cominciare dall’azzeramento della tassa per il rinnovo annuale della licenza di caccia (173 euri)

Il mio contributo alla soluzione del problema cinghiali. Dopo aver letto su Andrialive la notizia del pastore ferito per difendere il suo gregge da un branco di queste bestie, dopo aver visto le foto di come le zanne hanno ridotto la sua gamba, oltre che il suo coraggioso cane abruzzese, ho pensato di dover fare qualcosa. Mi sono procurato un arrosto di pancia di cinghiale dell’azienda venatoria Sant’Uberto-La carne del bosco di Monterenzio (Appennino bolognese). Un cinghiale selvaggio, non allevato e dunque magrissimo (un decimo del grasso presente nel maiale di allevamento), gustosissimo (dieta a base di ghiande, castagne, tuberi, foglie, erbe spontanee), sanissimo (niente antibiotici: non ci sono farmacie nel bosco). L’ho marinato per una notte con vino rosso, rosmarino, aglio, cipolla, pepe, l’ho messo in forno bagnandolo col liquido di marinatura, ho aspettato che cuocesse e poi che si raffreddasse un poco, l’ho tagliato e, finalmente, con la benedizione di Sant’Uberto, l’ho azzannato con gusto. Io la mia parte l’ho fatta, adesso il governo deve fare la sua, a cominciare dall’azzeramento della tassa per il rinnovo annuale della licenza di caccia (173 euri), siccome i cacciatori di cinghiali svolgono un indispensabile servizio alla collettività e andrebbero pagati, altro che tassati.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).