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preghiera

L'utopia marxista-divanista della fine del lavoro

Camillo Langone

Secondo il filosofo Maurizio Ferraris, la tecnica permetterà all'uomo di liberarsi definitivamente da ogni incombenza. Molto poco realista, procede per astrazioni: in pratica, sono gli uomini a farsi controllare dalla tecnica

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Che il “nuovo realismo” fondato da Maurizio Ferraris venga ridenominato “nuovo utopismo”. Sulla base dell’intervista apparsa ora su Civiltà delle Macchine on line dove viene descritto e caldeggiato un mondo utopico in cui, grazie alla tecnica, verremo liberati dal lavoro. Non ci saranno più lavoratori, saremo tutti soltanto consumatori: un’utopia marxista-divanista, direi. Da sempre gli utopisti ce l’hanno con i realisti e il filosofo torinese ce l’ha con gli scettici, con i perplessi, con chi osserva “che la tecnica ci disumanizza e ci governa”. Ferraris guarda costoro con disprezzo: misoneisti patetici, nostalgici obsoleti, cacadubbi…

 

Per lui il cittadino della Nuova Era (dice proprio così: “nuova era”) deve avere fiducia nella tecnica siccome questa resta sempre sotto il controllo dell’uomo. Perché mai preoccuparsi? Se non fosse che anche a Hiroshima la tecnica era sotto il controllo dell’uomo: il bombardiere era pilotato dall’uomo, la bomba era stata costruita dall’uomo… Ferraris da buon utopista procede per astrazioni: mentre nella realtà non esiste l’uomo, esistono gli uomini. C’è una bella differenza: l’uomo è colui che, in teoria, controlla la tecnica, gli uomini sono quelli che, in pratica, vengono controllati dalla tecnica. A volte perfino inceneriti.

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