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La borghesia romana e la tensione a riprodursi

Camillo Langone
Preghiera borghese numero 1. Si legga “Gin tonic a occhi chiusi” di Marco Ferrante (Giunti) per ricordarsi l’esistenza delle virtù borghesi e la loro perenne utilità. Il lavoro. Il matrimonio. I figli.
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Preghiera borghese numero 1. Si legga “Gin tonic a occhi chiusi” di Marco Ferrante (Giunti) per ricordarsi l’esistenza delle virtù borghesi e la loro perenne utilità. Il lavoro. Il matrimonio. I figli. Il cattolicesimo non è quasi nemmeno più un ricordo nella borghesia romana raccontata dal borghese pugliese Ferrante (lo iato geografico aggiunge allo sguardo da dentro lo sguardo da fuori, quindi sto elogiando un romanziere onnivedente). Eppure è forte la tensione a riprodursi in questo ambiente ostile all’aborto, che estingue, e al divorzio, che impoverisce. Aborto e divorzio sono ormai cose da Aprilia, da Latina, da Tor Tre Teste, forse pure della Balduina, non più della Roma dei quartieri alti che nei quartieri alti vuole restare. La pianificazione è un’altra virtù borghese (la spontaneità è molto Tor Tre Teste) e i padri si preparano ai giorni che verranno: “Ha quattro figli da crescere, gli deve trasmettere sicurezza morale e un po’ di denaro”. Una sbandata può capitare (anche i borghesi sono uomini), l’importante è non dimenticarsi l’indirizzo di casa: “Direbbe che ama sua moglie, nel modo in cui pensa che si debba amare una moglie”. Si legga “Gin tonic a occhi chiusi”, fertility novel di piacevolissima lettura, e magari lo si metta in pratica.
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