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Le canzoni devono diseducare. Anche al femminismo

Camillo Langone
Io se da dieci-venti-trenta-quaranta-cinquant’anni cantassi canzoni inneggianti alla sfrenatezza erotico-sentimentale, all’esagerazione passionale, avrei accuratamente evitato di esibirmi all’Arena di Verona nel concertone contro il cosiddetto femminicidio.
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Io se da dieci-venti-trenta-quaranta-cinquant’anni cantassi canzoni inneggianti alla sfrenatezza erotico-sentimentale, all’esagerazione passionale, avrei accuratamente evitato di esibirmi all’Arena di Verona nel concertone contro il cosiddetto femminicidio. Io se avessi nella discografia titoli come “Ti spezzo il cuore”, “Crimine d’amore”, “Amore cannibale” (Gianna Nannini), “Sparami al cuore”, “Fammi male che fai bene” (Patty Pravo), “Selvaggia” (Loredana Bertè), “Primitiva” (Irene Grandi), non avrei puntato il dito contro i poveretti che pazzi di gelosia uccidono le loro povere donne: non mi sentirei responsabile (le responsabilità sono personali) ma nemmeno innocente (nessuno è innocente, figuriamoci la Elisa di “Bruciare per te” o la Emma Marrone di “Emozioniamoci ora”). La canzone non è tenuta a educare ma se diseduca, e nei casi succitati diseduca, le cantanti sono tenute a non somministrarci pistolotti. Odio e amore da Catullo in avanti sono notoriamente collegati ed esortare alla spontaneità, al lasciarsi andare, promuove i baci quanto le sberle. Contro l’emozionismo si ascoltino piuttosto Orazio e l’Ecclesiaste: la musica è dionisiaca e Dioniso esige sacrifici.
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