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Renzo Piano e i suoi quartieri senza chiese

Camillo Langone
Si diano appuntamento Renzo Piano e gli amici suoi, nelle stazioni della metropolitana. Fra ratti e tunnel, abusivi e pendolari, borseggi, palpeggi, stranieri, occhi cisposi e orecchie turate dagli auricolari.
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Si diano appuntamento Renzo Piano e gli amici suoi, nelle stazioni della metropolitana. Fra ratti e tunnel, abusivi e pendolari, borseggi, palpeggi, stranieri, occhi cisposi e orecchie turate dagli auricolari, graffiti e pisciate e pubblicità per frustrati, e senza mai il bene della luce di Cristo, si incontrino gli estimatori di colui che al Corriere ha dichiarato: “Dobbiamo fertilizzare le periferie con edifici civici. Non solo musei; librerie, ospedali, palazzi pubblici, stazioni della metropolitana, posti dove la gente si ritrova”. Sono discorsi da assessore comunista degli anni Settanta, da architetto che nei quartieri non prevede chiese un po’ perché non ci è portato (quando a San Giovanni Rotondo ha provato a costruirne una gli è uscito fuori un hangar), un po’ perché ha letto Calvino invece di Eliot: “Là dove non c’è tempio non vi saranno dimore”. Che arrivi presto la rivoluzione della mobilità, che il car sharing, il car pooling e la guida automatica distruggano il trasporto pubblico, viaggiare da deportati e da topi, facendo meritare alle stazioni della metropolitana l’aggettivo che già oggi si meritano, a Torino, a New York, a Londra, le torri per uffici di Renzo Piano: obsolete.
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