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verso le primarie dem

Cosa non torna nelle mozioni di Schlein e Bonaccini quando si parla di “sanità”

Giovanni Rodriquez

L'abolizione del numero chiuso nelle facoltà di medicina, l'incremento delle case di comunità per spingere sulla prossimità territoriale, la revisione dei brevetti: nei programmi dei due candidati alla segreteria del Pd ci sono anche slogan populisti. Una rassegna 

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Si avvia verso la conclusione la lunga maratona che porterà alla scelta del nuovo segretario del Partito democratico. I due i nomi forti sui quali ricadrà la scelta degli elettori, ossia l’attuale presidente e vicepresidente della Regione Emilia Romagna, rispettivamente, Stefano Bonaccini e Elly Schlein, nelle rispettive mozioni hanno dedicato ampio spazio alla sanità. Molti i punti in comune, a partire dalla necessità di un maggiore finanziamento per il Servizio sanitario nazionale, la difesa del sistema pubblico e universalistico e la necessità di garantire lo stesso livello di servizi su tutto il territorio nazionale. Non mancano però, in entrambe le mozioni, alcuni scivoloni verso misure che potremmo senza dubbio connotare nel novero degli slogan populisti.

Tra questi, ad esempio, nella mozione “Energia Popolare per il Pd e per l’Italia”, Stefano Bonaccini propone il superamento del numero chiuso nelle facoltà di medicina. E questo perché “è sbagliato tenere fuori dalle Università i tanti giovani che vogliono provarci, visto che abbiamo davanti anni di penuria di personale”. Eppure già oggi abbiamo 4 medici ogni mille abitanti, contro la media Europea di 3,8. Negli Stati Uniti il rapporto scende a 2,5 medici ogni mille abitanti. A mancare non sono tanto i medici quanto gli specialisti a causa dell’esiguo numero di borse di specializzazione finanziate negli anni precedenti. Solo ora, con l’incremento di questi contratti si è riuscito a superare il cosiddetto imbuto formativo. Ma il frutto di tutto questo si vedrà solo nei prossimi cinque anni viste le tempistiche necessarie per la formazione di questi professionisti. Tornando agli accessi universitari a medicina, questi nel 2022 sono stati circa 15 mila. Con questi numeri, nei prossimi 10 anni avremo intorno a 150 mila medici neolaureati. Ora valutiamo le uscite. Sulla base dei dati Enpam si potrebbe stimare che queste riguarderanno 40-50 mila medici ospedalieri, 20 mila medici di base, 10 mila specialisti ambulatoriali, 5 mila medici universitari e altrettanto per il privato puro. In totale circa 90 mila camici bianchi. Questo significa che già con i numeri odierni rimarrebbe un margine di oltre 60 mila medici per colmare le attuali carenze e le future possibili fughe dal pubblico. Abolire l’accesso programmato a medicina porterebbe ad una accesso di circa 60 mila studenti all’anno, con un drastico livellamento verso il basso della qualità della formazione. Come si potrebbero infatti gestire gli spazi delle aule con il quadruplo degli studenti? Per non parlare poi della loro gestione nelle corsie degli ospedali. A questo aggiungiamo poi che si dovrebbero contestualmente quadruplicare le risorse necessarie per le borse di specializzazione, altrimenti si verrebbe a creare una nuova pletora medica, con la formazione di decine di migliaia di nuovi disoccupati ogni anno impossibilitati ad accedere al Ssn ed uno spreco di risorse pubbliche.

Non va meglio nella mozione “Parte da noi” di Elly Schlein, dove si punta molto su una “sanità di prossimità”. Qui si spiega come, grazie agli investimenti del Pnrr, si potrà “rendere capillare la presenza di case della comunità, ma servono risorse e formazione per assicurare che al loro interno operatrici e operatori sanitari, sociali, medici di medicina generale e pediatri, psicologi e saperi del terzo settore possano lavorare in sinergia, come equipe multidiscilpinari in grado di assicurare una presa in carico più piena dei bisogni delle persone”. Sul discorso case della comunità aleggia un non detto che si fa sempre più ingombrante. L’assistenza all’interno di queste strutture dovrebbe essere garantita dai medici di medicina generale. Peccato che questi non siano dipendenti del Ssn e non abbiamo un contratto ad ore. Tradotto in soldoni: ad oggi nessuno può imporre loro di spendere parte del loro orario per lavorare all’interno di quelle strutture. Per farlo, due le opzioni possibili: far diventare dipendenti questi professionisti, ma servono risorse (non poche); oppure stipulare con loro una nuova convenzione, passaggio che potrebbe essere tutto’altro che breve. 

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Infine, sempre nella mozione Schlein si propone la “revisione degli accordi TRIPs sulla proprietà intellettuale” per prodotti come farmaci e vaccini. Una delle posizioni tradizionali del M5S. Eppure, durante l’emergenza Covid si è visto come con semplici accordi tra aziende detentrici di brevetti ed altre aziende produttrici si sia riusciti in pochi anni ad arrivare ad una sovrapproduzione di vaccini a livello globale. Anche in questo caso l’approccio ideologico sembra aver la meglio sulla realtà.

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