Foto di Mauro Scrobogna, via LaPresse 

l'opinione

Il dibattito sull'autonomia non fa i conti con la geografia e con i movimenti delle persone

Dario Di Vico

Le traiettorie dei flussi delle merci e degli spostamenti dei cittadini non concordano con i confini delle amministrazioni. Forse complicare ulteriormente le già imperfette connessioni dei sistemi regionali non è la via giusta

Nel dibattito sull’autonomia sono state avanzate considerazioni di carattere strettamente politico insieme a dotte disquisizioni di natura giuridico-amministrativa. Non si è parlato quasi mai di geografia o di economia reale. E il motivo forse è semplice: si dovrebbe partire dalla constatazione che le regioni non sono dei contenitori amministrativi ottimali. La realtà degli scambi e dei flussi è tale che i confini storicamente definiti non coincidono con i movimenti delle persone e delle merci e con l’attrazione di un territorio nei confronti di un altro.

 

L’esempio che si fa sempre, e che però giova ripetere, è se Piacenza sia “davvero” in Emilia-Romagna o piuttosto in Lombardia. E la stessa domanda vale a ovest per Novara sulla direttrice piemontese. E persino il soggetto Nord est è di fatto un’aggregazione letteraria perché somma tre regioni (il Veneto, il Friuli-Venezia-Giulia e il Trentino Alto Adige che hanno tra l’altro regimi statutari e relazioni con lo stato centrale molto diversi tra loro). Eppure usiamo il termine Nord est perché dal punto di vista dei modelli di gestione del territorio, di configurazione delle imprese e delle filiere, dei movimenti delle persone per recarsi a lavorare si tratta nella buona sostanza di un’unica regione con qualche variante.

 

Ora è evidente che è difficile riformare queste imperfezioni delle amministrazioni mettendole a confronto virtuoso con l’economia e la vita reale ma complicarle ulteriormente – aprendo alle competenze su energia e porti – forse non è la via giusta. Se pensiamo ad esempio a un mercato del lavoro che nelle fasce medio-alte grazie all’alta velocità ha reso possibili scambi impensabili tra Milano e Torino, Milano e Bologna, Napoli e Roma e via di questo passo, appare veramente contraddittorio che la gestione delle politiche del lavoro sia disomogenea, con sistemi regionali l’uno differente rispetto all’altro. Per carità l’idea di responsabilizzare le classi dirigenti locali con una maggiore accountability resta poderosa ma se la politica non fa i conti con la geografia e inventa “micromercati regionali contrapposti e divisi” (copyright di Oscar Giannino) il dubbio che sia tutta una guerra di bandierine si rafforza.

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