(foto d'archivio Ansa)

il nuovo pacchetto di aiuti

I dubbi nella maggioranza sullo scudo anti-missili da inviare all'Ucraina

Redazione

Secondo Mulè (Forza Italia) "nessuno vuole dire no alle richieste della Nato o di Washington, ma noi di quei sistemi non ne abbiamo così tanti". Intanto la premier Meloni spera di arrivare a un accordo prima del 20 gennaio

Nemmeno il tempo di convertire il quinto pacchetto di aiuti militari da inviare all'Ucraina, che già si inizia a parlare dell'intervento successivo: quello con cui Roma dovrebbe dotare Kyiv di uno scudo anti-missili. Del resto, sono stati gli Stati Uniti a chiedere all'Italia di contribuire in questo modo alle strategie di difesa messe in campo dall'esercito ucraino. Per adesso, siamo alle intese di principio, però. Perché quello che sembrava un passaggio formale così non è, visto quanto e come questo nuovo invio di dotazioni militari viene vissuto all'interno delle stesse forze di governo.

La maggioranza composta da Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia non ha mostrato in questi mesi alcuna volontà di cedimento rispetto alle richieste degli alleati. Eppure mentre la premier Meloni interloquisce con lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky, pianificando una visita a Kyiv e fornendo tutte le rassicurazioni del caso, nella coalizione qualche dubbio sulle nuove richieste piovute da Washington s'è avanzato. Secondo l'ex sottosegretario alla Difesa e attuale vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, forzista, "non c’è alcun problema di volontà politica. Il dato è che l’Italia ha oggettive difficoltà a sguarnirsi di dispositivi come il Samp/T", ha detto a Repubblica. "Nessuno vuole dire no alle richieste della Nato o di Washington, ma noi di quei sistemi non ne abbiamo così tanti a disposizione. Possiamo continuare a dare un prezioso contributo anche su altri fronti, come quello dell’intelligence".

 

Il Samp/T è un sistema di ultima generazione per quel che riguarda i dispositivi anti-missilistici. L'esercito italiano ne possiede cinque (più uno di addestramento). Ma tra ciclica manutenzione, e lo schieramento in alcuni teatri a livello internazionale come il Kuwait e la Slovacchia, in pratica la disponibilità è piuttosto limitata. In più sono sistemi co-gestiti con la Francia, con cui sarebbe necessario trovare un accordo per la fornitura di alcune componenti. Per questo c'è chi nutre più di una perplessità sulla praticabilità di arrivare a definire un invio di queste dotazioni nel più breve tempo possibile (il 20 gennaio si riunisce il cosiddetto gruppo Ramstein composto dagli alleati, chiamato ad assumere nuove decisioni a proposito della guerra in Ucraina). Del Samp/T aveva parlato al Foglio anche il sottosegretario alla Difesa Matteo Perego. Un'alternativa più economica (e meno efficiente) sarebbe l'invio di un sistema più antiquato come l'Aspide, che le nostre forze armate stanno pian piano dismettendo.

Ma l'atteggiamento cauto l'hanno manifestato anche dalle parti della Lega, con il senatore Claudio Borghi che sempre al quotidiano di Largo Fochetti ha detto di attenersi alla linea tracciata dalla premier Meloni. Chiarendo però che "noi non siamo guerrafondai", e cioè facendo un po' il verso al pacifismo propagandato per lungo periodo dal Carroccio in alcune delle fasi della guerra. 

Prima del 24 febbraio, anniversario dell'invasione russa, Meloni si dovrebbe recare nella capitale ucraina con l'obiettivo di incontrare il presidente Zelensky. Sarà un passaggio importante perché servirà a ribadire l'ancoraggio dell'Italia alla resistenza di Kyiv, così come la premier ha sempre manifestato senza ambiguità sin dalla nascita del suo governo (ma anche quando era all'opposizione). Arrivarci ottemperando alle richieste difensive degli alleati avrebbe tutta un'altra forza per la posizione del paese. Ma non è affatto detto che ci riesca.

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