L'intervista

Mulé: "Forza Italia è leale a Meloni, ma non si farà lapidare. Ricevere Calenda? Serve solo a Calenda"

Carmelo Caruso

"Non temiamo Azione. Il suo eventuale ingresso al governo è contronatura. Fi è lo zenzero di governo. Siamo la spina che serve alla rosa. Giorgia Meloni ha sbagliato con i giornalisti", dice il vicepresidente della Camera

Si dice, e si dice a sinistra, Forza Italia è “il partito del cemento”, Forza Italia è il “partito del condono”… Giorgio Mulé, vicepresidente della Camera, deputato di Fi, il 22 ottobre del 2018, la notte del “condono Ischia”, il giorno in cui venne depositato l’articolo 25.100 da parte del governo Conte I, il suo partito con chi stava? “Stava dalla parte giusta. Stava dall’altra parte”. Quale? “La parte di chi si è opposta. La parte di chi riteneva quell’articolo, quell’emendamento, un agguato parlamentare, consumato con il favore delle tenebre, per dirla alla Giuseppe Conte, e, per di più, dopo una maratona a Montecitorio che nulla c’entrava con il decreto Genova”. Lei quel giorno dov’era? “In Parlamento, in Commissione trasporti, dove ho denunciato la forzatura, appena ricevuto quell’articolo sul quale votammo contro. Alcuni giorni dopo, in Aula, mi sono confrontato, in maniera aspra, con l’allora presidente della Camera, Roberto Fico”. Per quale ragione? “Mi lamentavo perché il governo era “sparuto”. C’era solo un sottosegretario a rappresentare il governo”. E Fico? “Ripeteva che il governo non era ‘sparito’. Ho provato a spiegargli la differenza tra ‘sparuto’, che significa scarsa consistenza, e ‘sparito’, che significava scomparso. Purtroppo non mi è stato facile …”.

 

Senza fare storia parlamentare, può ricordare, in breve, cosa accadde in quelle ore? “Accadde che dopo il passaggio alla Camera, il governo Conte, su quell’emendamento, andò sotto, al Senato, grazie all’azione di Fi. Voglio insomma dire che quella norma, la norma su Ischia, porta un nome e un cognome. Il nome è Giuseppe. Il cognome è Conte. Il resto è falsità”.

 

Quando questa intervista sarà pubblicata, Carlo Calenda, farà il suo ingresso a Palazzo Chigi per incontrare il premier Giorgia Meloni. Mulé, il suo partito verrà presto sostituito al governo da Calenda? Chi è Calenda? L’opposizione più credibile o il prossimo alleato di Meloni? “Io lo chiamo il Miglior-ino”. Cosa significa? “Si crede il Migliore, in realtà è solo ino, ino. Un maestr-ino, brav-ino a confezionare un brod-ino di propaganda”.

 

Le ripetiamo la domanda: Meloni sostituirà Fi con Azione? “Le rispondo con allegria e con una fiaba. Anche se Calenda fosse la strega cattiva, Meloni non è Biancaneve. La mela non la mangia”. Dunque a cosa serve questo incontro? “Serve a Calenda. E temo che si concluderà con la solita scorpacciata di tweet da parte sua. Uno show per le televisioni”. E’ così certo che Azione non possa far parte del governo Meloni? “Sarebbe un innesto contro natura. Indro Montanelli, con cui ho avuto il privilegio di lavorare, diceva che ci sono mosche che si posano sul corpo dell’elefante. Basta un colpo di proboscide e la mosca va via. Inutile agitarsi”.

 

La sua Fi è mosca o elefante? “E’ un partito leale. La storia ci ha già dato ragione. Sui rave party la norma sarà modificata, come chiedevamo. Sul Superbonus siamo dell’opinione che non si cambiano le carte in tavola”. Si è pentito di aver definito la manovra una “tisana”? “Perché dovrei? La tisana serve a scacciare gli incubi e consente di affrontare le notti serene. Rivendico e aggiungo che Fi è lo zenzero: è un toccasana nella tisana”.

 

In FdI si inizia a pensare che voi di Fi siete la spina. Sarà così bravo da trovare una buona metafora anche per le spine? “Non mi è difficile. Non siamo una spina nel fianco di Meloni. Dico invece che ogni rosa ha bisogno delle sue spine. Il tratto unico delle rose sono proprio le spine: anche una sola spina la può rendere unica alla maniera del Piccolo Principe. Il mio partito non farà giochi strani, ma la nostra presenza al governo è indispensabile e non solo aritmeticamente. Non tireremo pietre, ma non ci faremo lapidare”. Leggiamo che sulle pensioni minime la rivalutazione del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non vi basta. A quanto si deve arrivare? “Innanzitutto a 600 euro per poi aggiungere 100 euro ogni anno in modo da arrivare, a fine legislatura, a 1.000 euro”. Quale altre richieste avete? “Non c’è dubbio che il governo debba alzare le decontribuzioni per le assunzioni dei giovani”. Deve alzare anche la soglia che permette ai commercianti di rifiutare i pagamenti con il Pos? “E’ il momento di finirla di ritenere un pagamento in contante la spia di un crimine, l’ombra di un reato. Ho una madre di 82 anni che vive in un paese della Sicilia dove la copertura internet è precaria. Vale in Calabria, nei paesini della Liguria o in Toscana”. Cosa vuole dire? “Che una pensionata ha il pieno diritto alla sua serena vecchiaia, il diritto di pagare come crede senza attendere che arrivi il segnale per saldare con la carta. Scherzando dico: all’alta fantasia qui manco il Pos. Pagare in contanti è una misura liberale”.

 

Dite sempre che Fi è il partito dei liberali. Se fossimo nel Pd si direbbe: chi siete, dove andate, che fate? “Posso rispondere a tutte le tre domande. Siamo atlantisti, europeisti. Dove andiamo? Fi non si deve muovere. Cosa deve fare? Presidiare quell’area moderata nel solco di Silvio Berlusconi”.

 

Per la cronaca. Il vostro ministro Gilberto Pichetto è stato ‘maltrattato’ da Matteo Salvini per la frase sull’abusivismo “arrestare i sindaci”. Salvini: “Io proteggo i sindaci!”. Vuole proteggere Pichetto? “Nomina sunt consequentia rerum. Uno che si chiama Pichetto dovrebbe snaturarsi per trasformarsi in ‘picchetto’. Gilberto è tutto tranne che un manettaro. Non scherziamo”. Mulé, ha diretto giornali e telegiornali. Le piace una premier che soffre le domande? “A volte il giornalismo da cane da guardia si trasforma in un cane affetto da rabbia. C’è stato, e c’è, un pregiudizio evidente nei confronti di questo esecutivo”. Volete solo i salamelecchi? Anche lei è dell’opinione che Draghi aveva una stampa amica? “La comunicazione di Draghi era ovattata mentre questo governo risponde anche per strada e non sfugge alla stampa. Detto questo non ho problemi a riconoscere che quella conferenza poteva essere condotta meglio dalla premier. La sua reazione rischia di alimentare la narrazione, fallace, di un governo autoritario”. L’editoriale di Mulé? “Cara presidente alle domande si risponde”. E se non si vuole? “Si risponde così: gentile giornalista la ringrazio per la domanda; lei ha il diritto di farmela, io di risponderle come credo”.

 

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio