Salvini difende la Lombardia dalla Meloni, e punta tutto sull'election day per il 2023

Valerio Valentini

Il leader della Lega accetta senza entusiasmi la ricandidatura di Fontana. Ma teme che le regionali arrivino prima delle politiche: sarebbe un mezzo disastro. "Giorgia vuole rompere il centrodestra", dice il segretario ai suoi. I malumori nel Consiglio federale

Il Consiglio federale era convocato per discutere di referendum; e però nelle chiacchiere a margine, che come sempre in Via Bellerio valgono assai più che non le staliniane professioni di fede al caro leader a dare la misura della febbre del partito, si parlava più che altro delle regionali del 2023. E non è un caso, e ci torneremo, che l’unico dettaglio che dallo staff di Matteo Salvini hanno voluto far trapelare, delle due ore scarse di dibattito, sia stato proprio l’applauso tributato dal politburo  al presidente lombardo Attilio Fontana, fresco di assoluzione. 

Prima, però, l’ordinaria amministrazione. Che è fatta  di pragmatica valutazione della realtà delle cose. Per cui Salvini, se da un lato annunciava ufficialmente la “mobilitazione generale” per i referendum sulla giustizia, sull’altra già imbastiva la retorica da exit strategy. Perché il quorum è impresa impossibile, e però anche raggiungere un 30 per cento di affluenza – questa dunque l’asticella, invero assai modesta – significherebbe mobilitare 17 milioni di elettori, e su quelli scommettere come bacino di future preferenze in vista delle elezioni politiche. 

E qui si viene al punto. L’incrocio di date e di destini tra i governi locali e quello nazionale. Salvini spera ovviamente nell’election day a primavera 2023: con un grande unico appuntamento che, oltre a Lazio e Lombardia, potrebbe vedere accorpate anche le consultazioni per Molise e Friuli. E però, da qualche settimana, le certezze dei suoi consiglieri più fidati hanno iniziato a vacillare. E’ successo anzitutto perché è andata prendendo consistenza quella indiscrezione per cui tra il Quirinale e Palazzo Chigi si valuterebbe seriamente la possibilità di estendere al massimo la legislatura,  fino al 28 maggio. A quel punto non sarebbe scontato che anche le due regioni chiamate per prime al voto nel 2023, che poi sono anche le più importanti, prolunghino la loro scadenza. E allora per Salvini potrebbero essere guai.

Nel Lazio il caos è totale, a destra. E nel colpaccio nessuno ci crede davvero, nel Carroccio. E però anche il mantenimento del feudo padano, senza il traino del voto d’opinione, potrebbe essere messa in discussione: e infatti il Pd lombardo, che ieri ha riunito la direzione regionale, nell’ipotesi ci spera come si fa con le cose che è meglio non nominare, per scaramanzia. Considerare Palazzo Lombardia contendibile, dopo 27 anni d’ininterrotta guida del centrodestra, pare quasi naif, forse perfino se davvero Beppe Sala accettasse la sfida. E però i trambusti interni che hanno portato alla reinvestitura di Fontana solo dopo la sentenza favorevole sul caso camici, dopo tre mesi in cui il presidente attendeva invano una risposta da Salvini, segnalano un certo disagio. Altrimenti gli amici più intimi dell’Attilio non avrebbero commentato quella notizia con un ghigno di scherno “contro i gufi di casa nostra”.

Bisogna però puntellarla, la giunta. Fare in modo, cioè, che arrivi davvero senza il fiato corto alla possibile scadenza lunga: quella di maggio 2023. Perché se si offrisse anche solo il pretesto per operazioni corsare alla Meloni, è probabile che lei le tenterebbe. Altrimenti Daniela Santanché e Ignazio La Russa non accetterebbero che con tanta disinvoltura i loro referenti sul territorio, da Varese fino a Como e a Lodi, spiegassero così le loro manovre di disturbo: “Da Roma ci dicono di fare casino ovunque si può”. E del resto ci sarà una ragione se pochi giorni fa un ex ministro leghista spiegava così le tensioni siciliane a un  parlamentare centrista: “Giorgia sta gestendo le trattative in Sicilia proprio per arrivare alla rottura su Musumeci e potere poi scatenare la rappresaglia in Lombardia”. Davvero la Meloni oserebbe tanto? Salvini non deve escluderlo se sabato ci ha tenuto così tanto a omaggiare della sua presenza l’assemblea di Lombardia Ideale, il movimento creatosi intorno alla Lista Fontana che, tramite il suo abile consigliere Giacomo Cosentino, garantirebbe alla giunta un’autosufficienza in caso di rottura di FdI. Perché se davvero ci si arrivasse alla rottura prematura, anche un’eventuale riconferma affannata di Fontana potrebbe complicare poi la sfida decisiva per le politiche, da cui Salvini è ancora convinto di poter andare direttamente a Palazzo Chigi.

Ecco allora perché ieri il segretario ha ripetuto ai membri del Consiglio federale che “la Meloni punta a rompere” il centrodestra. Bisogna saperlo, dunque. Ed essere pronti a reagire. Per questo i dirigenti locali del Carroccio, dopo giorni in cui hanno fatto notizia soprattutto i parlamentari che hanno lasciato la Lega alla Camera e al Senato, si sono visti contattare dai responsabili della Bestia, nelle scorse ore: “Forniteci i nomi di tutti quelli che negli ultimi mesi sono passati con noi, soprattutto se vengono da FdI”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.