la gioiosa macchina rossogialla

Faide e ricatti nel M5s. Tensioni nel Pd. Letta al Senato ha un problema, in vista del Quirinale

Patuanelli: "Sul Matterlla bis non scommetto. Su Draghi sì, ma solo due euro"

Valerio Valentini

Taverna prova la spallata sul capogruppo, poi minaccia i colleghi. Ma perde. "Rischiamo di arrivarci comunque spaccati a metà, alla sfida per il Colle", sussurra Perilli. Intanto l'assemblea dei dem ribolle. Il Nazareno blinda Malpezzi. "Ma occhio a non isolarci", manda a dire Franceschini. Così la corsa verso il prossimo capo dello stato diventa complicata per i rossogialli

Alle tre del pomeriggio Vito Crimi, con Andrea Cioffi e Gianluca Castaldi al seguito, blocca Stefano Patuanelli in un corridoio di Palazzo Madama. “Qui c’è una sola via d’uscita: devi mollare il ministero e tornare a fare il capogruppo, sennò non ne usciamo vivi”. Scherzano, pare. Poi però si fanno seri, placcano in un angolo il titolare dell’Agricoltura che vorrebbe andare a Palazzo Chigi per il Cdm: “Sul Superbonus, Stefano, cosa ci conviene fare?”. E iniziano a descrivere le loro fattispecie, quel certo estremo catastale, una ex chiesa sconsacrata da riadibire a ristorante, l’appartamento di un suocero: “Secondo te ci rientriamo, nello sgravio?”. Ecco, a voler essere cattivi il travaglio del M5s sta qui: tra il trambusto di un partito allo sbando e i timori per un futuro fuori dal Palazzo. 

Ma non è un’ansia solo grillina, quella per gli equilibri periclitanti al Senato, se è vero che mercoledì, alla vigilia di un’assemblea che poteva trasformarsi in un processo alla “sua” capogruppo, Enrico Letta ha convocata Simona Malpezzi al Nazareno, concordando con lei la linea da tenere. “Vedrai che nessuno oserà metterti in discussione”. Ed è anche in virtù di questa investitura che Malpezzi, per sedare una riunione che si prolungava ormai da tre ore, ieri mattina ha messo formalmente la pistola fumante sul tavolo: “Cari colleghi, il mio mandato è rimesso alle vostre volontà”. L’applauso che ha chiuso il vertice ha scacciato il fantasma di una sua defenestrazione, ma non ha rimosso l’eco delle critiche più dure: quelle di Valeria Fedeli, quelle di Andrea Marcucci. Discutevano della disfatta sul ddl Zan, ma guardavano già alla conta sul Quirinale. E non a caso  gli interventi più attenti a ribadire l’importanza di “non restringere il campo”, “di non farci isolare”, sono stati quelli di  Bruno Astorre e  Roberta Pinotti, due fedelissimi di quel Dario Franceschini che è il più in ansia per la sfida del Colle. “L’unico nome che ci tutela dal rischio di restare ai margini è Mario Draghi”, ha esclamato allora Vincenzo D’Arienzo, il segretario d’Aula, che essendo l’uomo che fa di conto, nel gruppo dem, aveva evidentemente delle colpe da espiare sullo Zan. E invece ha rischiato di peggiorare la sua situazione, se è vero che al solo evocare il trasloco del premier al Quirinale, lo spettro della chiusura intempestiva della legislatura ha preso a circolare. “Occhio, ché nel voto anticipato ci si può spesso scivolare senza che nessuno lo voglia”, ricordava infatti Luigi Zanda. “Ma Letta lo sa che non possiamo farci schiacciare, in vista del voto per il Colle”, dice il senatore Andrea Ferrazzi. “Forse il bis di Mattarella eviterebbe guai a tutti, ma in ogni caso non possiamo affidarci alla sola alleanza col M5s”.

  Anche perché, nel frattempo, il M5s è in fase avanzata di disgregazione. Paola Taverna dispensa sorrisi per tutti, nel Salone Garibaldi. Sa che deve farsi perdonare la prova di forza che lei ha suggerito a Giuseppe Conte. “Con Ettore Licheri vinciamo facile”, diceva. Aveva anche benedetto la candidatura di Maria Castellone, perché insomma una sfidante di prammatica pure ci voleva, per  dare alla sfida per il rinnovo del direttivo di Palazzo Madama una parvenza di credibilità. E invece mercoledì mattina, fiutando l’aria, la vicepresidente vicaria del M5s, la stella più vicina all’empireo di Conte, zompettava tra un capannello e l’altro dispensando raccomandazioni e minacce con la sua fatidica mano a cucchiara, specialità della casa. Ed ecco che venivano fatte prospettare candidature, incarichi nel nuovo Movimento, comparsate in tv. “Mo’ però dovete vota’ Ettore”. Altrimenti tutto crollava, ogni promessa si tramutava in ricatto: “Ahò, pure dalle chat ve caccio”. Quarticciolo  in purezza.  

E però anche questo ha contribuito a far convergere su Castellone tutto il variegato disagio, un miscuglio di risentimenti e di malumori prepolitici, che si vive nel gruppo, col risultato che sono stati gli stessi contiani a conferire al nemico che si voleva isolare, e cioè Luigi Di Maio, la titolarità di un pacchetto di voti ben più ampio di quello che lui in effetti controlla. “Visto com’è finita, eh?”, se la rideva infatti, con ghigno sardonico, il ministro degli Esteri mercoledì sera coi suoi amici. Era finita 36 pari tra Castellone e Licheri, con due astenuti. “Tiriamo dritto”, aveva insistito Taverna. Prima che qualcuno le facesse notare che a intestardirsi in nuove conte, coi nervi ancora tesi per le liti e le zuffe recenti, si rischiava davvero il pastrocchio. E allora tutto rimandato a martedì. “Con la speranza che però si trovi un accomodamento, magari un terzo nome di sintesi”, propone ai colleghi Gianluca Perilli, che avendo vissuto in corpore vili il logoramento a cui è sottoposto chi guida la truppa dei senatori del M5s, intravede il rischio peggiore. “Quello, cioè, di un capogruppo legittimato sì da una votazione, ma con una metà della pattuglia che sin dall’inizio  non si riconosce nella sua leadership, e il tutto a ridosso della sfida per il Quirinale”. 

A proposito, idee su come uscirne? “Escluderei il bis di Mattarella perché mi sembra sia stato lui a escluderlo”, sibila Patuanelli attraversando di corsa il cortile del Senato. “La cosa più probabile è forse l’elezione di Draghi, ma mi ci giocherei al massimo due euro, non di più”. Per dire che di certezze ce ne sono poche, nel campo rossogiallo, e quelle poche neppure granché condivise, tra M5s e Pd. Letta lo sa?
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.