Il progetto dello stadio della Roma a Tor di Valle (Ansa) 

Un progetto mai nato

Il nuovo stadio della Roma non si farà. Raggi approva la delibera con i voti del Pd

Gianluca De Rosa

L’Assemblea capitolina ha approvato la revoca dell’interesse pubblico sull’impianto di Tor di Valle. Ora si andrà in tribunale: Eurnova, la società che aveva proposto il progetto chiede un risarcimento milionario

Che accadrà adesso? È difficile dirlo. Probabilmente si finirà in tribunale. Sicuramente, è un giorno importante. Dopo averlo votato nel 2014 e nel 2017 l’Assemblea capitolina ha approvato una delibera per revocare l’interesse pubblico sull’impianto di Tor di Valle. La fine di un progetto mai nato, il nuovo stadio dell’As Roma. Per riuscirsi il consiglio comunale è dovuto arrivare alla seconda convocazione, quando per approvare una delibera servono numeri più bassi (bastano 16 presenti, un terzo del totale del consiglieri). Virginia Raggi è ormai da alcune settimane senza maggioranza e se il Pd non avesse deciso – dopo alcune necessarie modifiche presentate dal capogruppo dem Giulio Pelonzi – di votare con i grillini, della delibera non se ne sarebbe fatto niente.

 

Sullo sfondo c’è una promessa. Quella che Giuseppe Conte avrebbe fatto al candidato del centrosinistra Roberto Gualtieri: al secondo turno avrai il nostro sostegno. In cambio i dem potrebbero supportare la candidatura dell’ex presidente del Consiglio all’eventuali elezioni supplettive per il seggio alla Camera dei Deputati dell’ex ministro dell’Economia. Un record: quello scranno cambierebbe per la terza volta proprietario in una sola legislatura. Gualtieri lo conquistò poco più di un anno fa, dopo la nomina a Bruxelles, come commissario agli Affari economici, di Paolo Gentiloni.

 

In mattinata prima del voto è stato proprio Gualtieri a parlare: “Quello di oggi – ha detto – è un passaggio importante per potersi occupare finalmente, dopo anni di pasticci incredibili, di dotare la Roma di uno stadio come è giusto che sia”. Intanto, Eurnova, la società di Luca Parnasi che aveva proposto il progetto, minaccia sindaca e consiglieri con richieste di risarcimento milionarie: 60 milioni solo per il danno, a cui si aggiungerà il computo finale dei mancati profitti. Si vedrà.

 

Quel che è certo è che per i grillini della Capitale quella dello stadio è stata una specie di maledizione. Contrari per tutta la campagna elettorale del 2016, poi, dopo l’elezione di Virginia Raggi a palazzo Senatorio, più propensi al confronto. Quindi un nuovo accordo con l’As Roma ed Eurnova, una revisione del progetto e, dunque, l’inversione a u: lo stadio si fa, ma quello #fattobene, con meno cubature e grattacieli. È la prima crepa. Cristina Grancio, consigliera capitolina M5s rimane contraria al progetto e viene espulsa. Anche Paolo Berdini, assessore all’Urbanistica, decide di lasciare. Lo psicodramma però non finisce qui. A giugno 2018 la procura arresta il proprietaro di Eurnova, Luca Parnasi, e l’avvocato Luca Lanzalone, il Mr Wolf che informalmente Raggi aveva scelto per risolvere il dossier stadio, premiandolo, poi, con la presidenza di Acea. Un disastro. Non basta ancora. Tre mesi dopo, in un nuovo filone d’inchiesta, viene arrestato il presidente dell’Assemblea capitolina Marcello De Vito, l’accusa della Procura è di corruzione e traffico d’influenze. Il dossier s’impantana.

 

In particolare, è un’intercettazione a preoccupare il Campidoglio. Lo dice un dirigente di Eurnova, la società di Parnasi che possiede i terreni, il progetto potrebbe mandare completamente in tilt il traffico dell’area. La sindaca Raggi chiede una consulenza trasportistica al Politecnico di Torino. Non finisce benissimo: senza la contestuale realizzazione di una serie di opere pubbliche per il traffico dell’area sarebbe effettivamente il caos. La prima cittadina avvia anche una due diligence interna sugli atti amministrativi che riguardano lo stadio. Tutto impantanato. Alla fine l’americano James Pallotta decide di cedere la Roma. Al suo posto arriva un altro statuinitense, il magnate californiano Dan Friedkin. È stato lui lo scorso febbraio a chiedere al Campidoglio di revocare l’interesse pubblico, portando come ragioni della scelta la crisi che la pandemia ha generato e la mancata chiarezza sulla proprietà dei terreni di Tor di Valle, pignorati intanto a Eurnova dai creditori. La proprietà (ma non l’utilizzo) dell’area è stata però più tardi ceduta all’imprenditore cecoslovacco Radovan Vitek, risolvendo questo problema (che infatti è stato cancellato con uno degli emendamenti dem dalla delibera). Per il Comune e per la Roma, comunque, la vicenda è finita, per Eurnova – che accusa l’amministrazione di tutelare la società giallorossa per interessi elettorali – no.

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