il retroscena

Così lo scaricabarile ha portato Draghi a concedere il corteo della Nazionale

Valerio Valentini

Il mistero del pullman scoperto, che nessuno ha bloccato tra i Parioli e Chigi per le strade di Roma interdette al traffico. "A quel punto, opporsi era impossibile", dicono al Viminale. Ed ecco allora il sorriso del premier a Mancini: "Con quella coppa lì, non possiamo dirvi di no"

Alla fine la concessione è avvenuta con una frase che, nel racconto sgangherato di quei minuti frenetici, qualcuno giura di aver sentito pronunciare ai collaboratori del premier: “Ma con quella coppa lì in mano, come potremmo dirgli di no?”. Ma la verità è che, se Mario Draghi ha dato la sua benedizione all’intesa che il capitano della Nazionale, Giorgio Chiellini, aveva di fatto ormai trovato coi dirigenti della Figc e attraverso loro col Viminale, è perché quando la faccenda è arrivata all’attenzione del premier era ormai impossibile pensare di respingere la richiesta dei giocatori azzurri. Perché ormai il pullman scoperto, con tanto di livrea addobbata per l’occasione, era già parcheggiato a ridosso di Piazza Colonna, e lo stallo alla messicana che si stava realizzando proprio lì, davanti a Palazzo Chigi e a favore di telecamere, rischiava di scadere nel grottesco. E quindi no, pensare di vietare il corteo di celebrazione per le vie di Roma, il bagno di folla per omaggiare gli eroi di Wembley, era impensabile. Al punto che gli stessi tecnici del Viminale, col senno del poi, ammettono che a quel punto “si era già passati dalla fase in cui si doveva decidere se autorizzare il corteo alla fase in cui, più semplicemente, bisognava capire come gestirlo”.

 

E del resto anche Matteo Piantedosi, nel suo inusuale j’accuse contro la Figc, ammette che alternative ormai non ce n’erano. “Non potevate fermarlo?”, gli chiede Fiorenza Sarzanini sul Corriere. “C’erano migliaia di persone in attesa del giro in autobus, vietarlo avrebbe potuto creare problemi di ordine pubblico”, risponde il prefetto della capitale, arrendendosi alla stessa evidenza dei fatti di cui anche Draghi, di fronte all’ingombro di quel pullman parcheggiato davanti Palazzo Chigi, non ha potuto che prendere atto. Perché semmai il mistero, nella ricostruzione dei fatti, ricopre le ore precedenti al momento in cui Leonardo Bonucci, negoziatore capo della squadra di Mancini, annuncia ai suoi compagni il suo “Abbiamo vinto”. Il mistero, cioè, sta nel fatto che il pullman scoperto, su cui il Viminale aveva già comunicato venerdì scorso la propria contrarietà alla Figc, stranamente compaia sul piazzale davanti all’hotel Parco dei Principi a ora di pranzo. E’ lì che c’è il primo tentativo di aprire la trattativa, che però inizialmente abortisce: e così al Quirinale la Nazionale ci arriva col pullman tradizionale. Poi, però mentre dal Colle azzurri si spostano verso Palazzo Chigi, ormai accompagnati da due ali di folla esultante, avviene la stranezza. Avviene cioè che il pullman scoperto si mette in moto dall’hotel dei Parioli e si dirige verso Piazza Colonna: sono più di tre chilometri per il centro di Roma, in parte lungo strade nel frattempo interdette al traffico. Chi lo ha autorizzato a partire? Perché nessuno lo ha fermato?

 

Dal Viminale fanno sfoggio di pragmatismo. Come si poteva bloccare l’autobus degli azzurri, all’indomani dell’apoteosi europea, davanti agli smartphone dei tifosi che già lo mostravano sui social? Ed è un realismo che ha un suo fondamento. Solo che se nessuno se l’è sentita di fermare quell’autobus, non si capisce neppure come si potesse poi pretendere che Palazzo Chigi, con la cerimonia nel cortile che doveva iniziare,  potesse imporre un dietrofront. Il resto, poi, è un incrocio di omissioni e di scarico di responsabilità che sa molto di italico. E, a seconda di qual è il ministero a cui si chiede un aiuto nel ricostruire la catena degli accidenti, ci si ritrova a dover supporre che sia stato Roberto Speranza a dirsi contrario a una richiesta arrivata da Luciana Lamorgese, o che sia stata piuttosto la responsabile dell’Interno a suggerire a Valentina Vezzali che non era il caso di assecondare le richieste della Figc, o che anzi no, che sarebbe stata proprio la sottosegretaria con delega allo Sport a cedere per prima alla forzatura della Federazione, che nel frattempo era alle prese con le insistenze dei senatori dello spogliatoio azzurro che, con un coordinamento non meno efficace di quello mostrato sui campi dell’Europeo, inscenava un perfetto gioco delle parti.

 

E allora Chiellini era il polizootto buono, risoluto nelle richieste ma garbato nei modi; e Bonucci faceva invece il viso cattivo di chi trattava i capi di gabinetto dei ministri come pezze da piedi (“E tu chi saresti?”) e urlava il suo sdegno sul grugno di quel Giancarlo Vignone che è un po’ il braccio destro del presidente della Figc, Gabriele Gravina, e che essendo stato delegato a trattare col difensore azzurro si sentiva dire che no, “noi dopo un mese passato quasi da reclusi nella bolla anti-Covid non ci stiamo a restare in gabbia dopo aver vinto un Europeo”. 
Senza contare che poi, a guardare il tutto con gli occhi disillusi di chi, dalle parti di Chigi, si ritrova a leggere i commenti e le strumentalizzazioni fatte sui giornali dell’accaduto, bisogna anche considerare che siamo nell’imminenza del semestre bianco, e che insomma ogni scusa è buona, per provare a dar fuoco alle polveri. E per convincersi che in effetti di tatticismo politico, dietro questa polemica, ce n’è molto, bastava sentire, ieri mattina, i commenti di certi grossi esponenti del M5s, sponda contiana, che già si fregavano le mani: “Pensa se c’era Giuseppe, a Palazzo Chigi, cosa avreste scritto”. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.