editoriali
Lo stile Draghi sulla parità di genere
Sul ruolo delle donne meglio pochi impegni precisi che promesse mirabolanti
Mario Draghi ha scelto la giornata dell’8 marzo e la conferenza su una Strategia nazionale sulla parità di genere per il suo primo intervento pubblico da quando è presidente del Consiglio.
Mario Draghi ha scelto la giornata dell’8 marzo e la conferenza su una Strategia nazionale sulla parità di genere per il suo primo intervento pubblico da quando è presidente del Consiglio.
Ha assunto come impegno del governo la realizzazione della strategia impostata dalla ministra Elena Bonetti e ha indicato alcune priorità semplici da enunciare anche se complesse da realizzare. Ha parlato di congedi parentali e, soprattutto, del “numero dei posti negli asili nido, che ci vede inferiori agli obiettivi europei, e sulla loro distribuzione territoriale che va resa ben più equa”.
Applicando anche al tema della parità il principio che aveva enunciato nella prima parte del suo discorso dedicata alla pandemia, dicendo “non voglio promettere nulla che non sia veramente realizzabile”, non ha indicato quote di presenza femminile o miracolistici cambiamenti. Ha ricordato che molto dipende anche dal comportamento individuale, dalla maturazione civile, insieme alle scelte politiche: “Azioni mirate e profonde riforme sono necessarie per coinvolgere pienamente le donne nella vita economica, sociale e istituzionale del paese. Ma dobbiamo prima di tutto cambiare noi stessi nella quotidianità della vita famigliare”.
Infine, ma non per ultimo, ha annunciato che “tra i criteri che verranno usati per valutare i progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza ci sarà anche il loro contributo alla parità di genere”. Pochi impegni precisi, che sarà quindi possibile verificare, invece che promesse mirabolanti ma generiche: in questo c’è lo stile di Draghi che non è solo di sobrietà ma, soprattutto, di attendibilità. In un campo, come quello della lotta alle discriminazioni, seminato di una gran massa di buone intenzioni, serve invece proprio questo: pochi impegni legati a quel che un governo di fine legislatura può fare davvero, ma sui quali si farà il necessario. E basterà.