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Editoriali

L’Egitto ci ridicolizza sul delitto Regeni

Redazione

Il Cairo ignora le richieste e le accuse italiane come se fossero un’invenzione

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Da cinque anni la fine diplomazia italiana si occupa del caso Regeni in Egitto e chiede di avere fiducia. Niente mosse affrettate e niente dichiarazioni sopra le righe, ci fanno capire, perché se vogliamo ottenere giustizia al Cairo dobbiamo condurre il gioco con abilità. E così, anno dopo anno, abbiamo aspettato che arrivasse una svolta, un segno, un’apertura minima da parte del governo dell’ex generale e presidente Al Sisi.

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Da cinque anni la fine diplomazia italiana si occupa del caso Regeni in Egitto e chiede di avere fiducia. Niente mosse affrettate e niente dichiarazioni sopra le righe, ci fanno capire, perché se vogliamo ottenere giustizia al Cairo dobbiamo condurre il gioco con abilità. E così, anno dopo anno, abbiamo aspettato che arrivasse una svolta, un segno, un’apertura minima da parte del governo dell’ex generale e presidente Al Sisi.

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Ieri abbiamo raccolto il frutto di questa strategia durata un lustro: l’Egitto respinge e ridicolizza le richieste dei magistrati italiani, che accusano quattro ufficiali dei servizi di sicurezza egiziani  per il rapimento e l’uccisione di Giulio Regeni. Gli egiziani hanno deciso in via ufficiale di ignorare le testimonianze raccolte dai magistrati della procura di Roma, che situano il ricercatore italiano nei giorni successivi al sequestro in uno dei comandi dell’intelligence egiziana. Dicono, dal Cairo, che a rapirlo e ucciderlo sono stati “ignoti”. Anzi, insinuano che Regeni fosse una spia – e quindi che in fondo si meritasse quello che è successo.

 

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Questo è quello che succede dopo anni di richieste e di colloqui e di fine diplomazia. Sediamo sconsolati sul fondo della nostra impotenza internazionale. Credevamo di essere pazienti, siamo deboli e là fuori se ne sono accorti. E non illudiamoci che questo sia un brutto episodio passeggero. Ci siamo laureati perdenti davanti agli altri paesi del Mediterraneo, che da molti anni non era così teso e aggressivo. Ci toccheranno altre umiliazioni, almeno finché aderiremo a questa linea: accettiamo tutto senza reagire, fateci quello che volete. Non sono passate nemmeno due settimane da quando lo scagnozzo di Al Sisi in Libia, il generale Khalifa Haftar di Bengasi, ha liberato i pescatori italiani colpevoli soltanto di pescare gamberi in mezzo al Mediterraneo e in cambio ha voluto che il presidente del Consiglio italiano e il ministro degli Esteri venissero in aereo a baciargli la pantofola. Finché non metteremo un freno a questa deriva, continueremo a prendere colpi. E restituire onorificenze a Macron non è sufficiente per riacquistare credibilità.   

  

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