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editoriali

Saper fare storia di cent’anni di storia

redazione

Verso il ’21: il Pci sotto i riflettori, ma senza bla bla e autorappresentazioni, grazie

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In vista del centenario della scissione di Livorno che diede vita al Pci cominciano a uscire saggi e articoli spesso assai interessanti, ma più perché fanno capire come sia stata registrata la vicenda del comunismo che come contributi a scrivere una storia di questo importante fenomeno politico. Vale per il saggio di Andrea Romano su quel che resta della tradizione comunista, per le testimonianze di militanti raccolte da Strisciarossa e per l’articolo di Ezio Mauro che rievoca la scissione di Livorno come la “dannazione della sinistra”. Si tratta di testi apprezzabili, talora capaci di illuminare qualche aspetto particolare dell’originalità dell’esperienza comunista in Italia. Quello che ancora manca è un’indagine storica approfondita che, tenendo conto dei documenti ora almeno parzialmente disponibili – dai verbali delle riunioni della direzione del Pci a quelli usciti dagli archivi sovietici – superi la visione tradizionale incentrata ancora sulle ricerche di Paolo Spriano e di Giorgio Galli, ambedue fortemente influenzate dall’autorappresentazione del Pci che tendeva ovviamente, almeno dalla fine degli anni 60, a sottolineare il proprio carattere nazionale.

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In vista del centenario della scissione di Livorno che diede vita al Pci cominciano a uscire saggi e articoli spesso assai interessanti, ma più perché fanno capire come sia stata registrata la vicenda del comunismo che come contributi a scrivere una storia di questo importante fenomeno politico. Vale per il saggio di Andrea Romano su quel che resta della tradizione comunista, per le testimonianze di militanti raccolte da Strisciarossa e per l’articolo di Ezio Mauro che rievoca la scissione di Livorno come la “dannazione della sinistra”. Si tratta di testi apprezzabili, talora capaci di illuminare qualche aspetto particolare dell’originalità dell’esperienza comunista in Italia. Quello che ancora manca è un’indagine storica approfondita che, tenendo conto dei documenti ora almeno parzialmente disponibili – dai verbali delle riunioni della direzione del Pci a quelli usciti dagli archivi sovietici – superi la visione tradizionale incentrata ancora sulle ricerche di Paolo Spriano e di Giorgio Galli, ambedue fortemente influenzate dall’autorappresentazione del Pci che tendeva ovviamente, almeno dalla fine degli anni 60, a sottolineare il proprio carattere nazionale.

 

Quello che ancora non è stato investigato in modo il più possibile oggettivo è il legame politico, non quello ideologico, del Pci alle mutevoli strategie dell’Urss e anche i tentativi di influire su quelle strategie. Questa lacuna nasce anche, almeno in parte, dalla lettura superficiale della politica sovietica. Le sincere passioni dei militanti, il ruolo di opposizione democratica (e a tratti laica) del Pci, le esperienze amministrative talora ammirevoli, la costruzione di una rete di organizzazioni di massa in grado di inserirsi in tutte le pieghe della società italiana sono argomenti interessanti e abbastanza ampiamente esaminati. Ciò che ancora manca è una lettura della politica del Pci, in campo nazionale e internazionale, un esame delle condizioni che la resero fino a un certo punto vincente e che alla fine si inaridirono. Sarebbe l’omaggio più importante per celebrare il centenario di una vicenda tra le più rilevanti della storia recente del nostro paese.

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